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lunedì 7 ottobre 2013

Pensieri da una veranda con intorno la pioggia

Questa mattina stavo aspettando una persona, in macchina, sotto la pioggia. Guardavo le persone passare: il muratore con il camion, la signora con la borsa della spesa, il tabaccaio che tirava su la serranda del negozio, il tipo in giacca e cravatta che correva a prendere la macchina guardando l'orologio. Mi sembrava di essere in uno di quei libri illustrati da Richard Scarry -avete presente, no? Quello di Sandrino. 
Scene di vita quotidiana. È che questa mattina mi sembrava diverso. 
Mi sono chiesta se fossero felici di fare quello che fanno, di correre o di andare lentamente verso il supermercato con la borsa di paglia. 

Quando sono arrivata a prendere Francesco a scuola, dopo aver fatto qualche commissione, ero un po' giù, dannata pioggia autunnale che ti entra nelle ossa e nella testa. 

Abbiamo acceso la stufa in veranda e in questo momento Francesco, dopo aver fatto un compito in cui gli veniva chiesto di parlare (ancora) di vacanze, sta guardando un cartone animato dove una tipa comunica con gli animali. Esattamente come io faccio con le piante (e anche lui).

C'è anche che poi questa mattina un mio amico mi raccontava che ha incontrato un signore anziano, amico di suo padre, che si ricordava di quando era piccolo e l'ha commosso dicendogli che l'ha visto nascere. E sí, anche questa è una storia semplice, di vita quotidiana, ma poi ci siamo detti che noi due siamo persone sensibili e anche io un po' mi sono commossa.

Vabbè, questo è un post cosí, di pensieri buttati giù in una veranda che ha intorno la pioggia. 
Vado, nel cartone animato qualcuno ha appena sparato un rutto e devo riportare Francesco nella realtá. Spegnendo la tv e aprendo un libro.

(A proposito di autunno, di foglie gialle e rosse -che sono sottointese- e di compiti, ecco qui, qui e qui quello che io e Francesco abbiamo preparato)

martedì 11 settembre 2012

Il sesto senso (delle donne, di certe donne)

Il sesto senso è un po' una fregatura: fa fare della dietrologia, pur non volendolo. E la dietrologia fa male, molto male.
Non solo, a volte manda in delirio da onnipotenza. Se hai azzeccato una volta, perché non potrebbe essere sempre così? Presa dall' ebbrezza dei tuoi successi, dimentichi di concentrarti sul vero problema (che a volte è: sto sbarellando e penso di vivere in un film oppure è tutto plausibile?) e passi il tempo libero a pensare di trovare risposte stupide a domande altrettanto stupide: se fossi Caio cosa farei in quel tal giorno a quella tal ora? Perché ha scritto quella cosa con il punto esclamativo anziché un punto semplice? Come mai prima usciva di casa - anzi: Come mai prima cominciava a twittare alle 8.00 e ora lo fa alle 8.01? C' è qualcosa che non mi torna (come dice sempre Francesco).
Non hai pace. Ma ti diverti, pure. E il tuo sesto senso ti dice che avrai ragione.
Poi, diciamocelo, abbiamo un po' tutti la tendenza a fare della psicologia spicciola e a categorizzare le persone. 
"Ma sì, dai, si vede che quella/o è così, così e anche così. Fa così, così e anche così" 
"Ma non fa  anche così!" 
"Oh, beh, quante storie. Avrà l' ascendente in quel tal segno. O sarà successo qualcosa. E' per questo che non ha ancora fatto quello che pensavo che facesse. (E che farà a breve)".
E vai avanti con la certezza che tu c' azzecchi sempre e sai cosa farà, dirà, scriverà (la gente, in generale). Ma non perché sei presuntuosa. E' proprio l' ubriacatura che regala il sesto senso.
Finché non centri davvero il punto e (quasi) tutto quello che hai previsto si realizza.
Beh, non sempre sei così felice di essere la vincitrice.
Per fortuna, a parte casi sporadici che non mi riguardano in modo diretto, ultimamente sbaglio. Tutti i miei "sospetti" si frantumano di fronte a verità che tocco quotidianamente (e che spesso noto con del ritardo).
Non credo comunque che la mia sensibilità sia calata né calerà mai. Avverto sempre quella cosa che spesso mi fa scrutare dentro le persone (e le loro parole, anche scritte) perché sento vicini i loro pensieri e i loro gesti.
Da un certo punto di vista è una fregatura - è vero - ma la sensibilità regala anche emozioni uniche. A me piace avere sempre la pelle d' oca, anche solo guardando il cielo sopra casa mia, le colline che mi girano intorno, i fiori di campo, i miei uomini che lavorano vicino a me.

lunedì 14 maggio 2012

Sogni di gloria

Un paio di settimane fa ho accompagnato Francesco ad una partita di calcio che la sua squadra faceva in trasferta. Tutti cuccioli di 5, 6, 7 anni con le maglie che facevano da vestito. Francesco era ancora in porta. 
Prima che entrasse in campo, gli ho detto di farsi fare goal più volte possibili; lui sa già tutto il discorso, non ho avuto motivo di specificare altro.
Una mamma si è voltata verso di me e mi ha detto: "Ma come? Noi dobbiamo vincere!"
"Signora, sinceramente non ambisco né a questa, né ad altre vittorie su un campo di calcio. Mi fa piacere se giocano bene, ma l' importante è che si divertano, no?" (la fiera dell' ovvietà).
Durante la partita questa signora si è sgolata, agitata, affannata perché la palla venisse passata a suo figlio e perché lui o altri segnassero. Credo che sia finita in pareggio. Dico "pareggio" per sentito dire, visto che non sono stata lì di certo a contare il numero dei goal (attività - quella del conteggio dei goal - severamente vietata dal Mister che, per fortuna, non ambisce a nulla, se non che i suoi ragazzi siano sereni e felici).
Quando i bambini erano negli spogliatoi io e questa mamma ci siamo ritrovate vicine. Mi ha detto che lei porta suo figlio a queste partita nella speranza che qualche procacciatore di talenti scovi suo figlio e lo faccia entrare in una squadra più importante; secondo lei questo sarebbe il primo passo per avviarlo ad una carriera che gli permetterebbe di guadagnare molti soldi. 
Accanto a lei - di fronte alla mia bocca spalancata per lo stupore e i miei occhi che non sapevano se credere che quella fosse una vignetta comica o una persona in carne ed ossa - c' era la figlia maggiore. Mi ha detto che lei avrebbe tanto voluto iscriversi all' università, ma che i suoi genitori non potevano/volevano a meno che lei non si fosse trovata un lavoro (cosa che era più che disposta a fare).
Sono andata via sconvolta e, una volta tornata a casa, ne ho parlato con il Moschettiere. Figuriamoci, lui già non sopporta il calcio - raccontargli questo episodio è stato come sfondare un portone aperto.

Passata una settimana, rivedo la signora - questa volta affiancata dal marito - agli allenamenti.
Il discorso cade su vari argomenti, tra noi e altri genitori presenti. Quando si arriva a parlare della crisi che stiamo attraversando (il più gettonato di sempre), il marito spiega che lui lavora a turni in una grande fabbrica vicino al nostro paese e alla fine dell' anno porta a casa meno di 18.000 euro. Sua moglie non lavora, cura i tre figli. Dice anche che vorrebbe che suo figlio intraprendesse la carriera calcistica perché non vorrebbe che vivesse quello che è costretto a fare lui.
Ora, tralasciando il discorso della cultura familiare, della pochezza di certe aspirazioni, del fatto che un figlio sormontato da queste responsabilità o diventa milionario o si sentirà un fallito tutta la vita...ecco, tralasciando tutto questo, io quella sera sono invece tornata a casa e non mi sono più chiesta: "ma questi due genitori come possono investire soldi negli allenamenti di calcio del figlio e non nella carriera universitaria di una figlia volenterosa e studiosa?". 
Mi sono invece chiesta: "chi sono io per giudicare?". 
Ho visto sempre i miei genitori lavorare e mio padre lo faceva anche da casa quando ha cominciato a stare male. Hanno fatto sacrifici, ma non è la stessa cosa. Ho lavorato durante l' università e ne sono stata più che felice (una delle scelte più azzeccate della mia vita), ma se anche non lo avessi fatto, non mi sarebbero mancati i soldi per comprare i libri o per mangiare. Certo, è stato un grande aiuto e mio padre era morto, non me la sentivo di pesare su mia madre. Ma qualcosa avevamo e lei mi ha chiesto tante volte di smettere di lavorare e dedicarmi esclusivamente allo studio. Alla fine ho mollato quando mi mancavano 6 esami. 6. Pazienza. Ho trovato il lavoro che mi sta dando da mangiare ancora adesso. Stop.

Chi sono io, quindi, per discutere sui sogni di gloria degli altri? Posso decidere di non frequentare queste persone perché non trovo che il mio pensiero sia allineato al loro (su questo argomento, ma probabilmente anche su altri. Probabilmente, ripeto), ma non posso giudicare i loro sogni e mi dispiace averlo fatto.
Proprio io, che sogno sempre.
I sogni non si toccano.

venerdì 4 maggio 2012

Francesco e Istanbul, la loro prima volta.

Era come se si fossero già visti. Ma finalmente si sono abbracciati.
Francesco (che non vuole mai farsi fotografare) e Istanbul (o meglio, solo un piccolo piccolissimo scorcio):







Presto pubblicherò le foto dell' appartamento in cui siamo stati. Perché io credo fermamente che questa città debba essere vista da chiunque e che il modo migliore per farlo sia assaporarla dalle finestre di una vecchia casa.
 
p.s. questo viaggio è stato il mio primo grande regalo a mia madre. Il fatto che ci fosse anche Francesco, sono sicura, lo ha reso ancora più speciale e indimenticabile.

venerdì 6 maggio 2011

In paese

L' incontro a tema "giardino privato" e' stato davvero interessante. (A parte l' aver scoperto che ho una pianta di prugne che sta facendo la muffa).
Comunque. L' incontro, dicevo, si e' rivelato proficuo, a livello di informazioni pratiche ma non solo. 
La nostra casa di campagna e' sempre stata un porto di mare e siamo abituati a ricevere ospiti spesso anche internazionali, grazie al lavoro del Moschettiere. Ma posso assicurare che nessun turco o indiano o argentino ha mai raccontato qualcosa di cosi' buffo e lontano (ma talmente vicino fisicamente!) dal mio mondo come quello che ho sentito ieri.
All' una di notte, davanti a qualche fetta di pane tagliato e ricoperto di pasta di salame, prezzemolo, olio di tartufo, e non so cosa altro ci metta dentro il Moschettiere, mi e' stato raccontato un grottesco spaccato di vita di paese.
Sembra che il vecchio parroco (quello classico, canonico, che durante la predica dice alle vecchiette chi votare - quello che fa parte della specie che ai tempi aveva fatto vincere la DC, insomma) sia stato sostituito da un prete di colore. Nero. N E R O. Figuratevi lo sconvolgimento mentale, culturale, fisico delle tali vecchiette che nella loro chiesetta incensurata, immacolata, dove i piu' bei pettegolezzi della zona venivano consumati, hanno dovuto far entrare UNO COLORATO. DIVERSO. Ma non diverso come la Pina che ha i capelli argentati anziche' grigi. Diverso davvero.
Non solo. Sembra che il tal prete, di una certa cultura, proveniente dal Togo, parlante 5 lingue, abbia deciso di rimettere in riga le pie donne, promuovendo la Santa Messa in quanto tale, e cioe' non come un incontro tra amiche che criticano la pettinatura di quella seduta al banco davanti. La tal "promozione" si sviluppa celebrando una Messa lunga (e non corta come quella del parroco precedente, che pero' assicurava comunque l' apertura delle porte del Paradiso), enfatizzando il rito e parlando alle fedelissime in un' omelia articolata e ben lontana da una campagna elettorale.
In tutto questo, le pie donne dalle articolazioni scricchiolanti, devono sedersi e alzarsi piu' volte, partecipando attivamente alla celebrazione. E non possono nemmeno insultare il parroco nella casa del loro Signore. No, no, nemmeno sottovoce.
La notizia che pero' ha sconvolto maggiormente le vecchiette del paese e' che la Santa Messa non sara' piu' celebrata alle ore 11,00, ma alle ore 11,15, per permettere al nuovo parroco di non arrivare in ritardo (causa impegni sulla collina vicina).
Insomma, le poverine, per guadagnarsi quel pezzetto di Paradiso a cui tanto bramano, dovranno spostare il pranzo di una buona mezz' ora (Messa piu' lunga + slittamento orario di inizio).
E questo e' un fatto davvero molto, molto serio per le pie donne del paese {che pero' le distrarra' per qualche tempo dalla consueta osservazione e conseguente critica alle mie scarpe}.

domenica 24 ottobre 2010

La' fuori, qua dentro.

Questa sera ho scoperto che un mio amico ha paura del mondo. Ci ho pensato. Anche io ho un po' paura del mondo, anche se poi ci sono cose evidentemente pericolose che io affronto senza problemi. Pero' penso che se avessi incontrato prima certe persone, la strada sarebbe stata meno in salita. Meno solitaria nelle mie idee.

Lo so, le persone girano. Le situazioni cambiano. Gli amori passano. Le mode tornano. Alcune cose restano. Altre partono. Altre ricominciano.

Pero' io sono fatta cosi', ho bisogno di parlare. Di partire. Di ricominciare. Mille volte.

Di ricominciare a conoscere le persone, di sentire ancora il contatto con qualcuno che capisca. E qualcuno c'e'. La' fuori non c'e' solo gente che mi giudica, che sa di farmi male con una lettera, che pensa solo ai soldi, che vive di menzogne.

La' fuori, qua dentro ... c'e' anche qualcuno che mangia umanita' e cerca sentimento, come me.

Mentre penso agli abbinamenti del prossimo colore e sorrido al pensiero di questa piccola, semplice, sciocca avventura, mi accorgo che questa rete non e' un freddo contenitore. E' pelle, sangue. E' un mondo di gente che puo' rendermi felice.

Con una pianta di gerbere ( che da cafona non mi ha spedito il giorno prima :D ), con una giornata davanti alla stufa, con due chiacchiere e un the indiano, con tre bambini, con i pastelli a cera.

Ma anche con due parole scambiate ad un tavolino di Via Dante, con il succo di frutta rovesciato sui pantaloni, con gli abbinamenti del nero, con una persona che avrebbe potuto turbarmi, con altri tre bambini che esplodono dalla voglia di gioco.

Sapete cosa penso del mondo? Che nonostante tutto, nonostante sia ancora un po' in ginocchio, nonostante abbia freddo - ora - io penso che voglio conoscerlo. Voglio mangiarmelo, questo mondo. Non voglio essere divorata. Ma a volte mi sembra di essere un piccolo pesce, di quelli che - porco cane - lo san gia' che entro la fine della giornata verrano mangiati da un pesce gigante - o anche da uno un po' piu' grande di loro.

Pero' la' fuori, qua dentro, son contenta di essere solo un piccolo pesce. Mi mangeranno anche, ma so di essere buona.

Ok, mi sono sfogata. Vado a lavorare sulle stylish classes ( ... manco fosse un lavoro davvero ).

martedì 21 settembre 2010

avrei potuto accettare altre cose

Ok. E' arrivata lei , stamattina. E qui non si tratta solo di brividi.
Si tratta anche di dire le cose come stanno e come forse solo lei sa fare.
Avevo già parlato qui di cosa ha significato per me il tradimento. E' stato morire ancora, dopo che - vaffanculo - mi ero rialzata ed ero rinata piano piano.
Ma non avevo mai parlato di quello che ho accettato. Di quello che L' ALTRA mi ha fatto. Di quello che non posso ancora mandare giù - l' ho scritto anche da mc -: quel desiderio accecante di far male a me, con la pistola puntata in fronte. Questo io non lo voglio nemmeno capire. Perchè avrei anche potuto perdonare il bisogno di amore. Quello lo perdono a prescindere. Avrei potuto ascoltarla se mi avesse fermato per strada supplicandomi di ridarglielo, di renderle quello che UNA VOLTA era suo, di parlare di lui, di piangere insieme, di mandarmi anche a cagare. Ma in faccia. Avrei potuto affrontarla se lei fosse andata oltre quello che sono fuori, perchè io sembro un facile bersaglio. Sembro una donna di plastica, con i tacchi alti e le gambe magre. Ma dentro di me ci sono i miei amori, il mio matrimonio, , c' è mio figlio, l' India, l' università, ci sono le cascate che ho visto, la savana, il Capo di Buona Speranza, c' è il mio parto, il mio latte, c' è la mia mamma, il mio papà, c' è l' uomo della mia vita.
Io ci penso tutti i giorni, dietro ai miei vestiti, dietro ai bolerini di pailettes, dietro il mio lavoro fatto di lustrini e tante cazzate. Dietro a tutto questo io sogno l' umanità.
Come te, Mc, non credo riuscirò mai a sotterrare quell' ascia. Però ci proverò. .
Lui', voglio divorarmi quel libro. Stanotte.

mercoledì 28 luglio 2010

Ma noi ... siamo le scarpe che mettiamo???

E' difficile che io non guardi le scarpe delle persone che incrocio o che mi stanno accanto. Mi piace partire da lì per immaginare le loro vite. Sono normale? No.
Al mattino, sulla banchina della stazione, osservo i piedi delle tante persone che, come me, aspettano. E, ovviamente, mi soffermo su quelli femminili. Ultimamente ho notato che su una cinquantina di paia di scarpe, metà di queste sono simili tra loro: da una parte le zeppe; dall' altra i sandali "da schiava" ( alcuni chiusi tipo mezzo stivale ).
E allora mi chiedo ( sempre perchè non son normale e mi faccio le pippe mentali anche per gli altri ): è possibile che ci sia un gusto così comune in un accessorio che può avere mille risvolti?
Le storie che mi vengono in mente partendo dalle scarpe di queste persone son tutte uguali. Non riesco ad essere così fantasiosa partendo sempre dallo stesso materiale.
E guardando le vetrine dei negozi vedo più o meno gli stessi modelli. Li evito. Io sì, li evito perchè da sempre sono stata un po' fuori dagli schemi. Ultimamente, per esempio, mi piace indossare dei pantaloni a sigaretta e delle t-shirt molto basiche. Più vedo il luccichìo delle pailettes in vetrina, più vado in direzione opposta. ( Come quando andavo al bowling a diciassette anni e mi mettevo le calze blu elettrico e tutti mi guardavano. Poi sono andate di moda e io ho smesso di mettere le calze. Anche con meno venti, in inverno, io non indosso calze. )
E per farlo scelgo canali alternativi. Sbircio in rete, sulle bancarelle vintage, compro scarpe indiane di vernice coloratissima.
E su quella banchina al mattino mi sento gli occhi puntati addosso. Però almeno io sono io. E le mie scarpe lo dicono.

foto: scarpe acquistate quando avevo diciott' anni ( 1995 ), al mercatino di P.le Lagosta, a Milano. Le avevo pagate 8,000 lire. 8,000 lire spese molto bene ( anche se dopo aver scattato la foto ho notato che si sono leggermente rovinate - dopo soli 15 anni. le porto subito in clinica ).

martedì 22 giugno 2010

la separazione nella nostra vita di tutti i giorni. e nei pensieri degli altri.

Quando ci si separa si ha spesso la mente offuscata dalla rabbia e dal rancore. L' unica cosa che fa rinsavire è il pensiero dei propri figli, se questi ci sono. A volte è proprio questo pensiero che non fa trovare il cancello d' uscita dal labirinto dei pensieri autodistruttivi.

I sensi di colpa, la preoccupazione per quello che sarà il domani e la tristezza infinita per il fallimento non permettono di dormire, di ragionare, di lavorare.

Quando passa l' uragano dei conflitti che, purtroppo, troppo spesso si svolgono tramite avvocati, prendono il via i cambiamenti pratici nel quotidiano. Ritrovarsi soli in una casa che fino a poco tempo prima aveva visto solo momenti piacevoli - ma anche no - e la nascita di un figlio ( o più ) è devastante. Sapere che Lui è via. E non importa se fino a quel momento era ciò che avevi desiderato. Crescere un figlio in un momento in cui avresti solo voglia di rannicchiarti in un angolino e piangere. Vedere che tuo figlio ha 40 di febbre e renderti conto che non puoi più chiedere conforto e appoggio a Lui. E poi lo fai lo stesso. Perchè da sola non reggi, la sera tardi, quando la febbre non vuole scendere. Battere i pugni contro il muro perchè sai che nella vita di tuo figlio ci sarà un' altra donna ( che non sarà sua moglie ). Aprire le bollette e voler piangere in ascensore urlando. Desiderare di buttare dal balcone tutti i debiti: avvocato, mutuo, luce, gas, macchina. Non avere i soldi per fare la spesa. Non accendere il riscaldamento quando tuo figlio dorme da suo padre. E, colmo dei colmi, usare per scaldarti la coperta di cashmere che ti hanno regalato per il matrimonio.

Tante volte mi sono chiesta come ha affrontato Lui i primi momenti. Non si poteva parlare in quel periodo, non era nemmeno lontanamente pensabile un possibile dialogo. In quei giorni pensavo spesso che fino a poco tempo prima con quell' uomo avevo dormito per anni e anni. Avrei voluto - nella mia mente utopica - sedermi con lui a parlare della nostra sofferenza. Forse per soffrire di più. Forse di meno. Anche ora lo vorrei. E gliel' ho detto.

In una società in cui le separazioni sono all' ordine del giorno e in cui ovunque vada incontri persone separate - o divorziate - non è così scontato nella vita di tutti i giorni essere capiti. Sabato sera, per esempio, io e il Moschettiere eravamo alla serata di gala dello Squadrone Italiano dei "Mousquetaires d' Armagnac", appunto. E al tavolo eravamo: tre coppie formate da persone entrambe separate/divorziate - anche pluri, un amico pluriseparato, una coppia che resiste insieme da molti anni, per fortuna, ma con un figlio separato.

Questo è solo un esempio. Quotidianamente incontro persone separate o divorziate, soprattutto nel mio ambiente di lavoro. A volte è quasi scontato. Eppure mi sento spesso fuori luogo o giudicata. O meglio, non è una mia sensazione: vengo spesso giudicata. E la cosa che mi fa più male è che si pensa che una donna separata sia "protetta" dal fatto di avere uno o più figli e si faccia forte di questo, pretendendo di essere mantenuta. Non è sempre così. Io ricevo un mantenimento per mio figlio. Ma tutti sanno quanto costi ora mantenere un bambino, dalle piccole cose all' asilo. Dai giochi che chiede ( e che non gli darei in abbondanza nemmeno se fossi ricca, per principio ) ai vestiti.

Il fatto che io abbia un compagno, poi, non fa che allargare a dismisura il pensiero dei giudicanti. Come se la maggiore aspirazione di una donna fosse quella di essere mantenuta. E non di farcela da sola.

Mi ferisce la concezione ancora così retrò, semplicistica e spesso scontata della donna vista come una che ha acquisito talmente tanta libertà da potersi separare ( cosa che fino a pochi decenni fa era pensabile solo nelle alte sfere ), ma che non può però riuscire a gestire la sua vita da sola. Senza avere per forza un uomo che la mantenga. Non che le voglia bene, che le faccia ritrovare la serenità, che la aiuti nel quotidiano, che accetti suo figlio. No. Che la mantenga.

giovedì 25 febbraio 2010

you are beautiful


Arrivo dal blog di Sonialuna , alias mia cugina espatriata a Dublino ormai da anni e che, unica della cinquina ad avere bellissimi capelli rossi, già in Italia era già soprannominata " l' irlandese".
Ha trovato in giro per la sua città alcuni graffiti, che sono parte del meraviglioso progetto "YOU ARE BEAUTIFUL" , che ha lo scopo di diffondere nel mondo un messaggio positivo e di ... speranza? ... per quelle come me che avrebbero bisogno di ingoiare pasticche di autostima quotidianamente. O semplicemente perchè, senza arrivare a questi estremi, "sometimes we need to be reminded", come ha scritto mia cugina.
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Chi, la mattina, correndo al lavoro, non proverebbe piacere nel leggere sul freddo e ferroso cestino della spazzatura un messaggio di questo tipo? La propria immagine riflessa nella vetrina accanto e un pensiero immediato: "Oh, sì. E' vero, I am beautiful."
E la metropolitana si prende con un altro spirito.
A Milano, sinceramente, non ho ancora trovato nè un adesivo, nè un graffito ( spero però di essere smentita perchè il pensiero che l' Italia sia sempre così indietro in queste cose mi infastidisce ).
Comunque, conto di cominciare io appiccicando stickers ovunque, non appena mi arriveranno quelli gratuiti che ho richiesto così .
Potete creare i vostri adesivi e inviarne le foto.
E se avete la fortuna di imbattervi in uno di questi messaggi potete fotografarli e spedirli qui .
Sul sito ci sono anche le immagini di meravigliose collaborazioni e istallazioni.
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Beh, alzate lo sguardo, camminate a testa alta e ... fateci caso: Yes, YOU ARE BEAUTIFUL.
( Sì, siete molto belle. Anche se, come me, in treno vi accorgete che avete il biscotto di vostro figlio attaccato al cappotto. In fondo, sarebbe stato molto peggio averlo in faccia.)

mercoledì 2 dicembre 2009

Quanto 'so PERFETTA con la caviglia rotta

"Prima di giudicare assicurati di essere perfetto e, dopo aver appurato di non esserlo, abbi la capacità di perdonare i giudizi di coloro che credono di esserlo."
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Non so chi ha scritto 'sta cosa, comunque mi piace. O meglio, mi piace solo la prima parte. Perche' dovrei perdonare i giudizi di coloro che si credono perfetti?
Ecco. Chi ha orecchie per intendere intenda.
Sara' la caviglia rotta, i legamenti andati ... ma mi sono un po' inviperita. Mi sa che devo chiamare la casa farmaceutica che produce il Brufen ... credo che tra gli effetti collaterali, oltre secchezza delle fauci, cagotto, gastrite, ulcera fulminante, morte, devono scriverci anche che fa incazzare di piu' ( ora che ci penso: magari anche a lei e' stata fatta la macumba, si e' rotta una caviglia nel frattempo ed e' costretta a ingurgitare bustine e bustine di Brufen ).
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Sono un po' una iena in questi giorni. Ma sentirmi dare della mantenuta dopo che per mantenere mio figlio mi sono lavata per un inverno con l' acqua fredda perche' non avevo abbastanza soldi mi fa un po' prendere male.
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Vabbe'. Perdonatemi questo sfogo di cui non frega niente - ma niente - a nessuno. Ma ho la caviglia rotta. E trangugio Brufen come se fosse acqua. Che bello, ma che bello usare questa scusa della caviglia per qualsiasi cosa ... non solo farsi portare il the, farsi fare il bucato, farsi stirare le cose ... tutte cose da casalinga frustrata, ovviamente.
No, perche' con questa caxxo di caviglia rotta quel poco di vita sociale che avevo se n'e' andata definitivamente. E badate: per vita sociale intendevo portare Francesco in piscina due pomeriggi a settimana. No, scherzo, dai.
Per un attimo, con questa gamba sifula mi ero dimenticata di essere sempre la Carrie Bradshaw de' noaltri.
Tacchi 12 sto arrivando!!! Beh, li ho su anche adesso, eh? ... in fondo il piede sinistro non si e' fatto niente. E poi il Moschettiere adora i miei tacchi.

giovedì 24 settembre 2009

una ballerina, per caso

Capita che vada a prelevare al bancomat e aspetti il mio turno osservando la signora sull' ottantina che sta digitando i numeri sulla tastiera del bancomat.
Indossa un cappellino di lana messo di traverso sulla testa e orecchini rosa.
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Capita che questa signora si volti in mia direzione dopo aver terminato di prelevare, osservi la spilla che ho appuntato sull' impermeabile e legga la scritta in inglese con un forte accento americano.
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Capita che da lì parta una chiacchierata di 10 minuti in cui scopro che questa signora è un ex-ballerina di danza classica, sbarcata a New York nel 1951 e protagonista di spettacoli girati in tutto il mondo.
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Capita che mi perda per un attimo, dopo averla salutata ed essermi diretta verso l' ufficio, immaginandola sul palco vestita da Odette o Giselle, o radiosa sui marciapiedi della New York degli anni '50, mentre James Dean fa un provino alla CBS, Paul Newman si prepara a recitare "Lassù qualcuno mi ama" e Audrey fa colazione sulla 5a strada.
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A Milano si produceva, si produceva, si produceva.
E a New York si ballava, si ballava, si ballava.
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Che bello trovare un po' di Broadway sul Viale Umbria a Milano.

giovedì 16 luglio 2009

mi sento una vecchia - ma almeno vestita bene


L' altra sera ero seduta sul treno del ritorno a casa.

Di fronte a me due ragazzine che credo non abbiano avuto più di tredici anni. Avevano addosso talmente tanti gioiellini colorati, rotondi, plasticosi, che sembravano dei negozi ambulanti di caramelle gommose.

Entrambe portavano quella nuova pettinatura con il ciuffo di traverso che copre tutta la fronte ma tipo sberla e avevano gli occhi truccati del colore che quando lavoravo in Ballantyne chiamavamo "eyeshadow", cioè "ombretto", perchè è quell' azzurro un po' pastelloso e madreperlato che ricorda proprio gli ombretti anni '50.
Magliettina aderente con scritta un po' art-decò, jeans strettissimi e ballerine.
Niente, le tipiche ragazze milanesi di adesso.
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Comunque, una dice: "Senti, ma ... domani che fai?"
L' altra: "La mattina dormo, al pome cazzeggio e la sera bordello"
Fin qui, niente di che. Ho capito il significato.
La prima riprende: "Ma l' hai più sentito XXX?"
L' altra:" Sì, ma non mi prende per un caxxo"
La prima:" Ma sì, che caxxo te ne fotte ... è un morto di figa"
!!!???!!!
Ma cosa vuol dire? Sono io che sono rimasta indietro o è normale non capire?
Istintivamente, ho guardato il signore che era seduto di fronte a me, che ha fatto anche lui la faccia di quello che non aveva capito niente. Peccato che lui avrà avuto almeno settant' anni ( e infatti non avrà capito nemmeno le prime due righe ).
Improvvisamente mi sono sentita vecchia.
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A parte che io ho avuto l' "autorizzazione" a dire parolacce quando ho compiuto diciottanni. Tutto in proporzione, perchè i buchi alle orecchie mi hanno permesso di farli a sedici ... poi mi sono lanciata, eh? Piercing, tatuaggio ... e basta, dai. Cose che non rifarei. Ma ormai ci sono.
Poi mio padre, se a tredici anni mi fossi presentata conciata in quel modo, mi avrebbe fatto rientrare in casa e cambiare. Mentre mia madre è sempre stata più sugli abbinamenti. Secondo lei già da adolescente avrei dovuto abbinare intimo e t-shirt, eventuali gioielli e camicetta. Che ansia.
Tant' è che una volta mi ha fatto fare una gran figura di merda in cortile con i miei amici. Lei era uscita e io mi ero vestita come volevo io, finalmente, anche per attirare l' attenzione del tipo che mi piaceva. Lei è arrivata e davanti a tutti mi ha detto: "Paola, ma come ti sei vestita? Non si abbinano MAI ( calcato con la voce ) fiori e righe".
Come se avessi combinato chissà cosa.
In effetti, però, fiori e righe ... ma io anticipavo la moda, visto che ora tutti lo fanno in sfilata, no?
Rientrata in casa mi ha fatto una romanzina sui colori, su quali stanno bene con cosa, ecc. ribadendo SEMPRE il concetto che "per ben apparire bisogna soffrire". E allora giù con le lezioni di camminata perchè secondo lei facevo i passi troppo lunghi ( e continuo a farlo ), con le spiegazioni su come ci si pettina, ci si depila, ci si fa la manicure ...
.
Comunque, alla luce di tutto questo, sarò anche rimasta indietro col vocabolario, ma in quanto a vestiti, scarpe e cura del corpo, ho avuto una gran maestra.
E infatti le due tredicenni hanno guardato i miei sandali e mi hanno detto: "Fighe 'ste scarpe! Ma come fai a camminare con dei tacchi così alti???".
E io: "Beh, per ben apparire bisogna soffrire, ragazze. Ricordatevelo sempre. Io alla vostra età magari mi vestivo ancora da Prenatal, ma portavo già delle grandi scarpe."
E me ne sono scesa dal treno ridendo e pensando che in realtà a tredici anni passavo le sere a ballare davanti allo specchio sognando di portare i tacchi di mia madre, di ingioiellarmi tutta e di vestirmi come Audrey Hepburn ( si, di già ).
Mentre loro la sera si vestono da negozi ambulanti di caramelle gommose e fanno "bordello" ( però non con i "morti di figa", eh? ).
nella foto: le scarpe del treno ...

venerdì 29 maggio 2009

vicini di oggi, parte II - sulla solidarietà con il popolo

Ieri altro giro, altra corsa, altri scatoloni.
Nel bel mezzo del casino arriva il proprietario di casa. Grazie agli insegnamenti di mia madre ( "per ben apparire bisogna soffrire" - penso abbia cominciato a dirmelo nella culla ), ero ancora intenta a spacchettare indossando un tacco 12.
In sostanza ero sporca, puzzavo, i capelli me li ero "lavati" in ufficio con lo shampoo secco all' avena ( non ho ancora la corrente, la caldaia non va e la mattina vado a farmi la doccia a casa di mia mamma che non ha lo shampoo perchè lei va solo dal parrucchiere ... stendiamo un velo pietoso ), ma almeno stavo sui trampoli.
Il signor proprietario di casa è stato molto cortese. Credo sia passato per rassicurarmi sulle due frustrate ( ebbene sì, sono due, non una!!! ) che si sono lamentate. Ho scoperto che queste ultime lo hanno beccato nella piazza del paese e gli hanno detto: "Ma insomma, chi ci hai mandato? ( ?!? ) Ha fatto rumore fino a tardi, al mattino presto ha tirato su la tapparella di colpo e abbiamo fatto un salto nel letto ... e poi ... cammina con i tacchi in casa!!!"
Dunque, a parte che "Chi ci hai mandato?" ... ??? Ci sono rimasta di merda. Mi sono detta: "1) ci vuole un bel coraggio a dire una frase del genere 2) non hanno un po' di "pietà" per una ragazza sola con un bambino? Anzichè stare lì a spiare dietro le tapparelle e controllare quanti scatoloni porto, perchè non vengono a chiedermi se ho bisogno di qualcosa?"
Eh, certo, nella loro testa "donna sola con bambino" = "questa apre una casa d' appuntamenti e quando avrà un cliente lascerà il bambino urlante chiuso in bagno"
Sorvolerei poi sul discorso del rumore, visto che stamattina alle 5,20 mi sono svegliata IO perchè qualcuno stava trascinando i bidoni dell' umido e che alle 6 sono partiti 42 motorini dai box.
Ma sui tacchi non sorvolo, no. Eccheccavolo, io ci vivo con i tacchi. Sono andata a partorire con il tacco ( qui sono dovuta scendere a compromessi, il tacco 12 non avrebbe retto i miei 30 kg in più ), rincorro mio figlio al parco con il tacco, guido con il tacco, prendo il treno, la metro e il filobus con il tacco.
Vuoi che non possa camminare a casa mia con il tacco, soprattutto quando sotto ho solo i box e i 42 motorini che partono ogni mattina alle 6?
A me toccami tutto ma lascia stare mio figlio, le persone che amo e i miei tacchi 12.
Vorrei che alle zabette frustrate fosse chiaro il messaggio. Devo solo pensare come farlo pervenire. Lascio un biglietto con l' indirizzo del blog?
Oppure avevo pensato anche a questa scritta:
"Vi chiedo di essere essenzialmente umani, ma così umani da avvicinarvi al meglio di ciò che è umano, purificare il meglio dell'uomo attraverso il lavoro, lo studio, l'esercizio della solidarietà continua con il popolo e con tutti i popoli del mondo ..."[Ernesto Guevara de la Serna, El Che]
In fondo, non vedo perchè dovrei soffocare la nostra anima comunista ( mia e di Francy )
Almeno, se lascio il messaggio stasera, domani in piazza le due frustrate avranno degli argomenti: diranno che nel loro cortile è arrivata una poco di buono che non ha marito ma ha un bambino, che la sera e la mattina presto fa dei balletti porno sui tacchi 12, che ha una marea di scatoloni ( chissà cosa ci sarà mai dentro, sicuramente manette e fruste ) e ... pensate ... è anche comunista! Roba da non credere!!!
Uff ... non ci sono più le ragazze di una volta ...

giovedì 28 maggio 2009

vicini di ieri, vicini di oggi

I vicini di casa sono sempre un' incognita. Ti deve andare di culo, non c' è niente da fare.

Ho già capito che nella nuova casa ho delle vicine rompicoglioni. Cioè, se mi vedi che faccio avanti e indietro 425 volte con 315 sacchetti e me ne cade uno, non puoi fermarmi scocciata e dirmi "Ho sentito un rumore". Mavààààà??? Hai sentito un rumore??? Scusa, eh? Se vuoi domani quando torno dal lavoro anzichè continuare con il trasloco m' impicco direttamente sulla palma che c' è in mezzo al cortile ( è piccola, ma sono piccola anche io quindi sotto ci starei ... ), così sei felice, brutta frustrata.
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Se poi una sera - dico, una - arrivo alle 10 con un amico che tra poco sarà nominato santo ( non prima beato, no, santo subito, come Papa Giovanni Paolo II ) con tanto di letto smontato, mobile del "soggiorno", lavatrice e altro ancora, il tutto legato con le cinghie e caricato su un carrello che normalmente serve a trasportare moto e in 1/2ora riusciamo a scaricare tutto ( ehmmmm, riesce, perchè io nel frattempo ero in casa a fare il letto per mio figlio ) ... se vedi tutto questo, dico, no, non puoi chiamare subito l' amministratore, il proprietario di casa, l' agenzia immobiliare e il sindaco del paese per segnalare che ho fatto rumore.
Forse queste simpaticissime vicine di casa pensano che noi ci siamo divertiti, dopo una giornata di lavoro, con il cassettino della lavatrice che per strada continuava ad aprirsi e io già me lo immaginavo spiaccicato sul parabrezza del tipo che disgraziatamente si trovava dietro di noi.
Insomma, ho il destino segnato. 100 a 1 che ci litigo subito.
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E' anche vero che io ero abituata bene e ieri, ripassando dalla mia vecchia casa, ho trovato tutta la disponibilità che mi aspettavo dalle persone che avevo accanto fino a poco tempo fa. Persone che non si fanno problemi se devono scendere dopo 10 minuti a spostare la macchina perchè il famoso carrello porta moto è piazzato in mezzo al cortile, persone che si affacciano dal balconcino delle scale con le tette al vento solo per dirmi ciao ( ?!? ), persone che mi aiutano a sdrammatizzare quando mi vedono alle 9 di sera ancora sui miei tacchi 12 a fare il trasloco.
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Persone che non vogliono apparire su questo blog, ma io le metto lo stesso, perchè tanto non si vedono nemmeno. Ma una traccia loro qua ci deve essere. Per forza.
Sapete che siete SEMPRE nel mio cuore, vero?



venerdì 15 maggio 2009

pagine bianche di un diario da scrivere


E' buffo come il leggere storie di persone che non si ha mai incontrato porti a legarsi alla loro vita, alle loro emozioni.
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Credo sia questione di chimica, come nell' amore. Se io - ferro - e tu- carbonio - ci uniamo, diamo vita ad un' unione forte come l' acciaio.
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Ma l' unione non è necessariamente fisica. Si può creare un legame sorretto da pensieri scritti di notte, quando i bambini si sono addormentati, o al mattino prima della colazione, del treno, dell' ufficio. Un legame sorretto da passaggi fugaci, commenti sentiti, foto, storielle, storiacce, grandi avventure e lunghe poesie.
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Poesie buttate giù da dieci, cento, mille mani - dieci, cento, mille mamme. Che in comune hanno l' aver dato la vita e l' aver deciso di raccontarla, questa vita, nel bene e nel male. Nel BENE e nel male..
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Beba mi ha passato il testimone ed è a lei che dedico la mia rima. Perchè, in un giorno triste come questo, possa aiutarla a far riaffiorare solo ricordi felici da scrivere su un diario dalle pagine bianche, bianche come l' inizio, come l' oblio..
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Questa è la poesia, la mia è l' ultima rima..
Mille pensieri nella mia mente, ne afferro uno velocemente (miks)
Parla di infanzia, ricordi, canzoni, tornano in mente vecchie emozioni (beba)
Mamme che ballano, orsi da stringere, pagine bianche di un diario da scrivere ( paola )
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Passo l' arduo compito a Caia , che, se vorrà, lascerà tra queste righe un po' delle sue emozioni di quasi mamma.
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Spero che tutti abbiano una storia ancora da scrivere. Su un diario dalle pagine bianche. Non come l' oblìo, ma come l' inizio di qualcosa di bello.

foto: la prima pagina del diario di nascita di Francesco.

sabato 9 maggio 2009

piccoli grandi uomini

"I bambini piccoli uomini, dalle grandi capacità. Gli uomini, piccoli bambini dai grandi sogni."
-- Cleonice Parisi

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Oggi il papà di Francesco è venuto a prenderlo al parco giochi. Per ingannare l' attesa dell' arrivo abbiamo, nell' ordine: spinto ogni bambina che provava a salire sullo scivolo prima di noi, raccolto un camion di terra simpaticamente tutta finita nel risvolto dei jeans, ciucciato cucchiaini di plastica abbandonati sotto lo scivolo da nonsochi, comprato un cono al fior di latte visitando il chiosco dei gelati almeno tre volte, bevuto alla fontanella altre cinque rischiando la vita perchè proprio lì vicino si era piazzato un pazzo che augurava a tutti la morte e chiedeva gentili servizi orali alle deliziose mammine del parco - tra cui io. .

In tutto questo, molte delle mamme dei figli di plastica - cioè quelli che quando mangiano il gelato lo mangiano loro, non la maglietta, che quando vanno sullo scivolo non tentano MAI di scendere a pancia in giù e attendono in coda il loro turno riuscendo a scivolare esattamente dopo tre ore, visto che tutti gli altri li sorpassano - erano scappate per non ascoltare le parole del pazzo, tenendo le mani sulle loro orecchie vergini, per la paura di dover essere costrette veramente a fargli qualche bel servizietto.
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Forse questi bambini sono già piccoli uomini, incorniciati in vestiti immacolati e così rigorosamente dediti all' ordine e all' obbedienza; o forse i piccoli uomini sono quelli che hanno grandi capacità, ma che preferiscono giocarsele diversamente ora, ora che la cosa più bella è sporcarsi i jeans di erba, bagnarsi tutta la maglietta alla fontanella e scendere a pancia in giù dallo scivolo.

Quando il suo papà è arrivato, Francesco l' ha preso per mano e, da piccolo grande uomo, lo ha accompagnato nel suo mondo fatto di sogni.

p.s. questa è la prima volta che parlo del papà di Francesco e spero che lui lo apprezzi. spero che prenda questa foto e la tenga nel cassetto delle cose importanti. perchè quando si viene accompagnati nei sogni di qualcuno è veramente una cosa importante. tutto qua.

martedì 5 maggio 2009

I bambini sono di sinistra



" I bambini sono di sinistra. Di sinistra, sì, nessun dubbio. Non soltanto per i pugnetti stretti in segno di protesta.
I bambini sono di sinistra perché amano senza preconcetti, senza distinzioni.
I bambini sono di sinistra perché si fanno fregare quasi sempre. Ti guardano, cacci delle balle vergognose e loro le bevono, tutti contenti. Sorridono, si fidano. Bicamerale! Sì, dai!
I bambini sono di sinistra perché stanno insieme, fanno insieme, litigano insieme. Insieme, però.
I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos'è la destra piangono.
I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos'è la sinistra piangono lo stesso, ma un po' meno.
I bambini sono di sinistra perché a loro non serve il superfluo.
Sono di sinistra perché le scarpe sono scarpe, anche se prima o poi delle belle Nike o Adidas o Puma, o Reebok, o Superga gliele compreremo. Noi siamo No-Logo, ma di marca!
I bambini sono di sinistra malgrado l'ora di religione obbligatoria.
I bambini sono di sinistra perché comunque, qualsiasi cosa tu gli dica che assomigli vagamente a un ordine, fanno resistenza. Ora e sempre.
I bambini sono di sinistra perché occupano tutti gli spazi della nostra vita.
I bambini sono di sinistra perché fanno i girotondi da tempi non sospetti.
I bambini sono di sinistra perché vanno all'asilo con bambini africani, cinesi o boliviani, e quando il papà gli dice "vedi, quello lì è africano", loro lo guardano come si guarda una notizia senza significato.
I bambini sono di sinistra perché quando si commuovono piangono, mentre noi adulti teniamo duro, non si sa bene perché.
I bambini sono di sinistra perché se li critichiamo si offendono. Ma se li giudichiamo non invocano il legittimo sospetto, e se li condanniamo aspettano sereni l'indulto che prima o poi arriva: la mamma, Ciampi, il Papa.
I bambini sono di sinistra perché si fanno un'idea del mondo che nulla ha a che fare con le regole del mondo.
I bambini sono di sinistra perché se gli metti lì un maglioncino rosso e un maglioncino nero scelgono il rosso, salvo turbe gravi - daltonismo o suggerimento di chi fa il sondaggio.
I bambini sono di sinistra perché Babbo Natale somiglia a Karl Marx. Perché Cenerentola è di sinistra, perché Pocahontas è di sinistra. Perché Robin Hood è di Avanguardia Operaia e fa gli espropri proprietari.
I bambini sono di sinistra perché hanno orrore dell'orrore. Perché di fronte alla povertà, alla violenza, alla sofferenza, soffrono.
I bambini sono di sinistra perché il casino è un bel casino e perché l'ordine non si sa cos'è.
I bambini sono di sinistra perché crescono e cambiano.
I bambini sono di sinistra perché tra Peter Pan e Che Guevara prima o poi troveranno il nesso. I bambini sono di sinistra perché, se ce la fanno, conservano qualcosa per dopo. Per quanto diventa più difficile, difficilissimo, ricordare di essere stati bambini. Di sinistra, poi."
Claudio Bisio.
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Beh, io mi ricordo benissimo di essere stata una bambina, e di sinistra. Anche perchè, per evitare che mi dimenticassi di esserlo stata, mia madre tornava dal lavoro tutti i giorni con un garofano rosso nell' asola del tailleur. Stava da Dio con il filo di perle. Che chic.
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Comunque, per la cronaca, ieri sera una signora ha indicato Francesco con il dito dicendo alla persona che era con lei: " Guarda, un piccolo Che in miniatura!".
A parte la field jacket verde militare e l' aria da combattente, non vedo molta somiglianza tra mio figlio e il Che. Però ... come mi sono gasata, orgoglio di mamma. Oggi gli compro il basco. Il ciuccio fà da sigaro.

martedì 28 aprile 2009

supermercati

Questa mattina Francesco ha protestato perchè voleva andare alla Coop invece che al Gigante. Così piccolo, così comunista.
Alla fine ha vinto il Gigante, ma solo perchè la Coop ha un parcheggio talmente scemo da scoraggiare qualunque mamma sotto il diluvio universale che era in corso. Quando siamo arrivati, sapendo di essere "in castigo" per alcune marachelle combinate prima di uscire di casa, Francesco ha cominciato diligentemente il giro dei corridoi senza mettere nel piccolo carrello che stava spingendo ovetti kinder, focacce, caramelle, uova, platani cubani, come invece fa di solito.
Ma ad un certo punto le tentazioni che aveva sotto agli occhi e l' incontro con un piccolo nemico pubblico alto quanto lui, gli hanno fatto dimenticare tutti i buoni propositi e, in men che non si dica, il famoso carrellino è stato riempito con una zuppa that's amore verde, i ravioli al prosciutto crudo di nonna amelia, 3 ovetti kinder e l' immancabile platano, che il reparto ortofrutta continua a voler piazzare proprio in basso a destra.
Ovviamente intenzionata a non comprare tutto quello che conteneva il carrellino di Francesco, mi sono sistemata in coda, cercando con un piede di sbarrare la strada a Francesco che mirava ai surgelati e con l' altro a fare lo stesso con il solito vecchietto sgamato che cercava di superarmi. A me fai tutto, ma non questo. Chiedi e ti sarà dato.
Dopo aver capito che doveva starsene lì in coda, Francesco ha pensato bene di rompere il famoso carrellino, con il suo dolce peso. Ed ecco decine di occhi di vecchiette puntati sulla madre del piccolo teppista che ha rotto il carrello; c' è quella che si aspetta una berla e quella che guarda impietosita, ma entrambe sono pronte a farti sentire una merda di madre se fai la mossa sbagliata - cioè, una qualsiasi.
Io me ne sono fregata, ho fulminato mio figlio con lo sguardo, l' ho sgridato e gli ho detto un paio di cosine talmente sottovoce che nessuna rompiballe può aver sentito.
Ma in agguato c' era la cassiera, che per punirmi ha battuto tutti i prodotti nel giro di un nano secondo. Mai vista una cassiera così veloce. Proprio oggi che non avevo fretta. Ovviamente ho creato la coda, tanto ero intontita a guardare la sua velocità megagalattica.
Mi sa proprio che dall' "altra parte" non ci torno più. Ritorno al solito scomodo parcheggio da comunisti.

mercoledì 8 aprile 2009

ora sì: ovvietà, umiltà e pietà

Ora sì, me la sento. Non di creare un nuovo inno sull' onda di quello della rivoluzione francese come può sembrare dal titolo, ma di parlare di ciò che è successo nei giorni scorsi in Italia.
Il web pullula di post, articoli, video, notizie dell' ultima ora, e chi più ne ha più ne metta.
Persino il famelico facebook - che comincio ad odiare, anche perchè la mia amica Valentina che è partita alla volta del Canada non mi dà sue notizie via e-mail perchè tanto "la trovo su facebook " - ha ottenuto elogi per aver permesso di sapere se erano vivi amici o parenti che abitavano nelle zone terremotate.
Va bene la tecnologia, gli aggiornamenti in tempo reale, la diretta ... ma siamo andati oltre, molto oltre. Ha ragione Marilde , abbiamo mostrato tutto.
Abbiamo anche parlato a vanvera, se è per questo. Abbiamo detto davanti ad una telecamera che "ci sono dei bassi ( sotterranei, credo. ndPaola ) in cui OVVIAMENTE vivevano degli albanesi che dormivano sulle brandine".
E uso la prima persona plurale - nonostante a parlare fosse un solo giornalista - perchè sono una cittadina italiana, inevitabilmente parte di questo popolo che sta inglobando barconi di gente e pullman passati di sgamo alle frontiere. Questo nuovo popolo che non riesce ad accettarlo, nonostante sia erede di quegli italiani che ad inizio secolo sono andati a cercare fortuna al di là dell' Atlantico perchè al di qua di speranze non ne avevano.
Ma non abbiamo più l' umiltà di ammetterlo. No, non è più affar nostro. Noi ora facciamo il G1, G2, G3, fino al G20 e siamo entrati nei "grandi"; noi ora non siamo più quelli che partiamo con la valigia di cartone per la Svizzera, la Germania, l' Argentina, il Canada. No, noi ora siamo quelli che abitiamo dove la gente arriva e spera di trovare l' oro. E invece questa gente ha anche trovato la morte ... insieme a noi, certo. Eh sì, viviamo tutti insieme, non ve ne siete accorti?
Io - e ritorno ad essere io - provo pietà per tutti, allo stesso modo.
Provo una gran pietà in questo momento. Io che sono un caso strano, io che sul filobus guardo gli altri e mi fanno pena, tutti. Ma tutti tutti. E quasi sicuramente saranno mille volte più felici di me, ma il viso stanco della gente mi fa questo effetto, è più forte di me.
Secondo me è colpa del fatto che all' università ho studiato Lingua e Letteratura Russa, tutta quella tundra, quella neve, quel tempo che non passa mai, quel filo di tristezza ... se rinasco mi specializzo in Letteratura americana, magari il capitalismo mi aiuta a fottermene di tutti.
... ma a quel punto non credo sarei felice ... preferisco interessarmi alla gente, IO.