giovedì 27 marzo 2014

I perché

Da sempre, sono un mix di rigidità e creatività. 
Ci sono cose (non poche) su cui sono categorica. Accetto il confronto ma non mi ammorbidisco.
Non sopporto le persone invadenti, ancora più di quelle maleducate (che poi una persona invadente si può definire maleducata, a mio parere), considero il rispetto la cosa più importante in ogni rapporto, sono capace di spaccare il capello in quattro e non dormire per molte notti se una cosa rimane in sospeso e non ho la possibilità di chiarirla, la volgarità mi irrita, in un giardino come addosso ad una persona.
Sento male fisicamente se mi fanno un torto e, piangendo sul cuscino, prima di addormentarmi, penso sempre a mio padre, qualsiasi cosa mi succeda, e immagino persone, luoghi, case, mezzi pubblici, mi chiedo quali siano le loro preoccupazioni, dove risieda la loro tristezza, sempre che tristi siano. Ho questa tendenza, sì, ad immaginare e ad immedesimarmi nei pensieri degli altri e mi vengono i crampi allo stomaco, forse per dire a me stessa che non sono l'unica ad avere pensieri tristi. O forse sì, in fondo spesso la gente si fa i fatti suoi e lascia scivolare le cose.
Mi fa male quando la cattiveria è gratuita, quando non ho la possibilità di spiegarmi e le conclusioni vengono tratte senza ascoltare la mia voce. Mi succedeva molto spesso da piccola: i miei genitori erano la legge e io stavo lì, con le mie parole dette tra le lacrime sul cuscino.
Erano tempi ben diversi, certo, ma con Francesco cerco di non ripetere questi errori che, con tutto il bene che mi hanno voluto i miei genitori, hanno creato un mostro completamente senza autostima, sempre convinto di non essere all'altezza o di non poter esprimere tutto quello che pensa. 
Non è facile, lo ammetto. Francesco ha solo sette anni e quando è arrabbiato per qualcosa che non ottiene non ascolta a fondo i perché, sentendo solo i "ma perché questa ingiustizia?" della sua coscienza.
In quei momenti nella mia, di coscienza, ci sono io bambina. C'è la mia cameretta, c'è il mio cuscino, ci sono i grandi perché della vita. E me li ritrovo tutti, mi arrivano in faccia diretti e duri come sassi, la sera, in una stanza vicina a quella del mio bambino, dove mi chiedo se ho fatto bene, se dovrei andare a svegliarlo per cercare di spiegargli ancora il perché di una punizione. 
Spesso il mattino dopo lui l'ha accettata e mi sorride sereno. Io lo riguardo, con tutte quelle lacrime che sono finite nello stomaco perché le ho ingoiate, e sorrido.
Mai vorrei che mi rinfacciasse di non avergli lasciato lo spazio per parlare, di non aver dato peso ai suoi perché. Tutto, ma non questo. Ho sofferto troppo per non aver avuto lo spazio che avrei voluto, per non aver detto tutto, per aver lasciato parlare i silenzi, per essermi sentita inutile perché non potevo dire tutto fino in fondo.
I figli non sanno cosa c'è dietro ad un genitore e per loro, forse, non è mai stato bambino. Invece bambini siamo stati e io lo sono ancora un po' adesso. E penso che sia questa la chiave di tutto: il non dimenticare che ognuno, anche un bambino di pochi anni ha delle priorità, dei desideri, dei sentimenti inespressi, dei perché. Che sono solo suoi e vanno ascoltati.

p.s. Detto tutto questo, non ci sono solo i pensieri tristi di una mamma piena di perché. Ci sono anche cose belle, come un armadio di primavera e una caraffa con i rami di un pesco che sono fioriti (anche) in casa.