mercoledì 26 settembre 2012

Le scarpe della mezza stagione

Questa mattina ho aperto l' armadio delle scarpe. A parte essermi resa conto di quanto poco siano state usate quelle che a inizio estate avevo definito "i sandali della stagione", annuendo con convinzione mentre la commessa strisciava la mia carta di credito, ho avuto un annebbiamento della vista pensando al tragico cambio estate/inverno. 
Da persona strana quale sono, mi da molto più fastidio uscire ora con le decolleté senza calze, piuttosto che in pieno inverno. Ma ho una giustificazione: questo è il momento in cui il riscaldamento in casa non è ancora acceso e quando devo vestirmi dopo la doccia, con la nebbia che ulula fuori dalla finestra, vorrei solo infilarmi un paio di parigine di lana e cotone e degli stivali che arrivino sopra al ginocchio. E invece. E invece non si può, è contro la mia etica. Se indossassi un paio di stivali a fine settembre non potrei più guardare male lo schieramento che trovo sulla banchina della stazione già da qualche giorno, mentre io sono lì con i miei piedini nudi infilati in un paio di tacchi (nella speranza che le Ferrovie dello Stato abbiano capito come funziona il discorso aria calda/aria fredda e non provvedano quindi al loro definitivo congelamento).
C' è tutto un mondo, lì in mezzo, tra stivali ed infradito. Si chiama Autunno e non è ancora l' Inverno. 


(Qualcuna delle mie decolleté. Quelle più logore - che si sappia - non saranno mai buttate e troveranno sempre uno spazio nel mio armadio delle scarpe. Hanno una loro storia)

martedì 18 settembre 2012

La scuola. E le field jackets militari.

Sembra che Francesco abbia abbandonato l' idea di mettersi la tuta ogni giorno. E questo non può che rendermi felice. 
Sono quasi riuscita, l' altra mattina, a convincerlo a mettere le bretelle come quando era piccolo. Aveva i pantaloni giusti, quelli con i bottoncini per le bretelle sulla cintura, appunto. 
Comunque.
E' cambiato molto ultimamente. Fa più capricci e si è beccato il primo castigo. Sembra non averla presa male ed è questo che mi preoccupa. 
Il fatto è che voglio che smetta di anelare al mio Ipad come ad un oggetto magico, l' unico a distoglierlo da questa spada di Damocle che è la noia.
Già, la noia. Mi sto scervellando per capire come un gruppo di seienni possa annoiarsi avendo la compagnia uno dell' altro e una miriade di giochi che vanno dal mostro di turno al pallone alla mazza da baseball (Ok, mi auto-rispondo. Ho già la risposta ma non la voglio ammettere). 
E' che ci sono anche rimasta male quando in coro hanno bocciato la mia super idea di immaginare che l' albero dei cachi fosse la sede di un regno magico da cui provenivano tutti i loro mostri.

Ieri Francesco mi ha raccontato che durante l' intervallo lui e il suo migliore amico discutono su quanto sia noiosa la scuola. Inizialmente volevo arrabbiarmi, ma poi mi sono detta che tutto questo è fisiologico. Solo che alla mia epoca (!) certe cose cominciavano ad essere dette a partire dalla prima media, ora si parte dalla prima elementare. 
Staremo a vedere. 
Quel che è certo è che sono quasi sicura che con i compiti adotterò lo stesso sistema di stampo hitleriano di mia madre. Non transigerò. Una volta fatti i compiti, studiato e portati i risultati, se anche vorrà fare il figo con gli amici dicendo che la scuola lo annoia, la cosa non mi preoccuperà.

Lo scuolabus, nel frattempo, si è rivelato la chiave del successo dell' inserimento in prima elementare. Appare su tutti i disegni e viene pensato come potenziale mezzo per raggiungere qualsiasi località.
Onestamente, dopo aver sfottuto mia mamma che voleva salire insieme a lui sul pulmino vedendolo indifeso e troppo piccolo per avventurarsi fuori casa con un mezzo nuovo, devo ammettere che anche io mi sono un po' commossa il primo giorno in cui l' ho accompagnato alla fermata. 
Stavamo lì sul ciglio della strada e io dovevo buttare carta e plastica nei bidoni poco più in su sulla collina. Quasi non voleva che andassi e lui comunque non si è mosso di un centimetro. 
Tornando indietro me lo sono visto: la field jacket verde militare con l' interno a disegni hawaiani (che vorrei anche io), i piedini paralleli, immobili, lo sguardo attento al rumore del motore che indicava la salita della collina da parte dello scuolabus.
Dopo averlo fatto salire, rientrando a casa, non ho trattenuto le lacrime. 
C' era la vigna rossa, il bosco profumava di umido. Mi sono seduta lì, ai margini del fosso sulla discesa verso casa. E ho dovuto accendere una sigaretta per aiutarmi a sfogare le emozioni.
Non so, è che me lo immagino, nel corridoio della scuola, con quello sguardo da figo (che non mi sentisse mai!) mentre dice che si annoia, che la scuola è una palla (che non lo sentissi mai io!). 
E poi, quando non ci sono i suoi amici, mi chiede la mano per fare la salita.
E aspetta lo scuolabus con i piedini paralleli, immobili. Con la field jacket con l' interno hawaiano. Mica come la mia*.

* Consiglio spassionato: la field jacket in cotone verde militare è un passe-par-tout. In queste giornate abbinatela ai tessuti leggeri che si possono ancora mettere. Anche ad una gonna di seta. Un contrasto così "naturale" è possibile.
Durante il giorno, quando le temperature si alzano, legatevela in vita, scazzate. 
Il verde militare è un colore neutro, anche se non sembra: sta bene con il blu, il grigio (meglio medio, non troppo scuro per non intristire il look), il viola, l' arancio, il bianco, il beige, il nero, il rosa, il rosso. 
Mi immagino, per esempio, una bella gonna plissettata rossa, una maglia rosa chiaro, un sandalo non troppo aperto argento e una field jacket legata in vita. Una grande clutch colorata.
Oggi, però, la metto con pantaloni blu ampi e sandali con tacco di legno. E vado a vedere mio figlio che tira di scherma.



martedì 11 settembre 2012

Il sesto senso (delle donne, di certe donne)

Il sesto senso è un po' una fregatura: fa fare della dietrologia, pur non volendolo. E la dietrologia fa male, molto male.
Non solo, a volte manda in delirio da onnipotenza. Se hai azzeccato una volta, perché non potrebbe essere sempre così? Presa dall' ebbrezza dei tuoi successi, dimentichi di concentrarti sul vero problema (che a volte è: sto sbarellando e penso di vivere in un film oppure è tutto plausibile?) e passi il tempo libero a pensare di trovare risposte stupide a domande altrettanto stupide: se fossi Caio cosa farei in quel tal giorno a quella tal ora? Perché ha scritto quella cosa con il punto esclamativo anziché un punto semplice? Come mai prima usciva di casa - anzi: Come mai prima cominciava a twittare alle 8.00 e ora lo fa alle 8.01? C' è qualcosa che non mi torna (come dice sempre Francesco).
Non hai pace. Ma ti diverti, pure. E il tuo sesto senso ti dice che avrai ragione.
Poi, diciamocelo, abbiamo un po' tutti la tendenza a fare della psicologia spicciola e a categorizzare le persone. 
"Ma sì, dai, si vede che quella/o è così, così e anche così. Fa così, così e anche così" 
"Ma non fa  anche così!" 
"Oh, beh, quante storie. Avrà l' ascendente in quel tal segno. O sarà successo qualcosa. E' per questo che non ha ancora fatto quello che pensavo che facesse. (E che farà a breve)".
E vai avanti con la certezza che tu c' azzecchi sempre e sai cosa farà, dirà, scriverà (la gente, in generale). Ma non perché sei presuntuosa. E' proprio l' ubriacatura che regala il sesto senso.
Finché non centri davvero il punto e (quasi) tutto quello che hai previsto si realizza.
Beh, non sempre sei così felice di essere la vincitrice.
Per fortuna, a parte casi sporadici che non mi riguardano in modo diretto, ultimamente sbaglio. Tutti i miei "sospetti" si frantumano di fronte a verità che tocco quotidianamente (e che spesso noto con del ritardo).
Non credo comunque che la mia sensibilità sia calata né calerà mai. Avverto sempre quella cosa che spesso mi fa scrutare dentro le persone (e le loro parole, anche scritte) perché sento vicini i loro pensieri e i loro gesti.
Da un certo punto di vista è una fregatura - è vero - ma la sensibilità regala anche emozioni uniche. A me piace avere sempre la pelle d' oca, anche solo guardando il cielo sopra casa mia, le colline che mi girano intorno, i fiori di campo, i miei uomini che lavorano vicino a me.

lunedì 3 settembre 2012

Stylish Alps

Ho guardato "Sciarada" almeno 5 volte. E ho sempre adorato la scena in cui Audrey Hepburn risponde elegantemente alle domande di Cary Grant sotto il sole delle Alpi francesi.
Da ragazzina sognavo di incontrare il "mio Cary Grant" guardandolo attraverso grandi occhiali da sole color tartaruga, con la grazia infinita di Audrey Hepburn.
Purtroppo, non avevo incluso nei miei piani quella che, fino alla mia ribellione avvenuta alla soglia dei 18 anni, è stata per me una perfida dittatrice di stile: mia madre.
La prima volta che ho trascorso la classica settimana bianca ai piedi delle Dolomiti avevo 14 anni. Nella spesa per la vacanza, mia madre ha incluso: una tuta da sci intera color verde smeraldo (che mi faceva orrore non tanto per il colore - il mio preferito - ma per la tuta in sé, così sgraziata), un paio di orribili occhiali da sole fucsia con lenti cangianti abbinati ai guanti (tutta roba tecnica, da sciatore "professionista", orribile) e una serie di calzamaglie, calzettoni, lupetti di lana. Mettiamoci pure i lividi delle cadute, le guance rosse per il freddo, le labbra screpolate, i capelli pieni di cristalli di neve ed ecco che da Audrey Hepburn a Bridget Jones il passo è breve.
E se è vero che a 14 anni non si è alla ricerca del proprio Cary Grant, è anche vero che rappresentano un delicatissimo momento in cui ci si gioca l' autostima per la vita.
 
Non so se tutto questo sia stata la causa del mio disamore per la montagna in inverno e non voglio nemmeno saperlo. Mi basta aver giurato, qualche anno fa, che in montagna sarei andata solo in estate.
E così ho fatto anche se - ahimé - questo non risolve il problema abbigliamento.
 
I tacchi, in montagna, NO. E lo sapete che io ci tengo. E abolisco anche le ballerine, soprattutto quelle con la punta rotondissima che fanno tanto finto trekking e invece sono solo molto brutte.
Rassegnatevi: in montagna ci vuole lo scarponcino (o, se non fate escursioni, scarpe da tennis o mocassini).
Sarà che io ho sempre in mente una foto di mia madre in cui lei era seduta sulla seggiovia con maglia verde bosco con calzettoni abbinati (il verde va forte in famiglia), pantalone beige in velluto e scarponcini con tanto di carrarmato (faceva vestire male me, non lei), ma per me in montagna bisogna vestirsi così.
Purtroppo, invece, le località montane in estate brulicano di giovani (e non) donne vestite con ampi pantaloni in tessuto tecnico (che farebbero sembrare grassa una gazzella), abbinati a polo in piquet (due tessuti davvero IN-ABBINABILI), ballerine gommose (l' ho già detto che le aborro? Ecco) e calzettoni a righe o altri improponibili grafismi.
 
A volte (spesso) mi chiedo dove sia finita la femminilità che emavano le donne di una volta. La freschezza di una ragazza, la sensualità di una donna, la sicurezza di una signora meno giovane.
Non si tratta di tacchi. E nemmeno di soldi.
Pensateci: non vedete tredicenni, trentenni e sessantenni vestite allo stesso modo? Il luogo non conta. Succede in città, in montagna, al mare.
Ragazze che tentano di sembrare più vecchie e signore che tentano di sembrare più giovani. Anche prima, sicuramente, succedeva: qualsiasi ragazza vorrebbe crescere in fretta e qualsiasi singora di una certa età vorrebbe fermare il tempo. Il problema è che ora la moda mette a disposizione terribili e dannosi strumenti che fanno compiere errori imperdonabili.
Eppure in montagna sarebbe così semplice: un paio di jeans (cortissimi o strettissimi fino ad una certa età, più ampi invecchiando) o un paio di 5 tasche in fustagno o in velluto a coste; una t-shirt basica bianca (a qualsiasi età) e un paio di sani scarponcini per camminare (o sneakers/mocassini in caso non si vada a fare escursioni).
Anche se di Audrey Hepburn ce n' è stata una sola e unica sarà per sempre, la montagna può ancora essere stilosa.
 
p.s. Questo è l' itinerario che abbiamo seguito (in verde). Non è chiarissimo, lo so, ma basta seguire le Alpi! :) I passi più belli in assoluto e che consigliamo sono:
 
 
Da est a ovest, partendo dalle Alpi Giulie:
Passo Predil (Italia/Slovenia): per scoprire una bella natura anche al di là del confine e per vedere il Mangart da "vicino";
Passo Falzarego (e tutti quelli delle Dolomiti): perché le Dolomiti non hanno bisogno di presentazioni;
Passo Stalle (Italia-Alto Adige/Austria in Valle di Anterselva): per scoprire un posto unico, con il più bel lago di montagna che io abbia mai visto;
Passo del Vivione (Italia, Valle Camonica): per entrare in un bosco da favola;
Passi Furka, Grimsel e Nufenen (Svizzera, dopo il San Gottardo): per arrivare quasi a toccare i ghiacciai;
Passo Acherli (Svizzera, poco prima di Lucerna): per vivere un mondo di dolci montagne verdi, dove le mucche hanno voglia di coccolare (e ci provano con il Moschettiere :D)