giovedì 26 marzo 2009

mattine milanesi


Chi vive Milano tutti i giorni non può capire certe cose. Milano uno ce l' ha nel DNA e chi non ce l' ha fa fatica a digerire i suoi ritmi, i suoi rumori, i suoi gesti. Per chi ha un DNA diverso è inconcepibile regalare così tanto del proprio prezioso tempo ad una città che fagocita centinaia di persone al minuto e che è capace di bruciare infiniti istanti della tua vita nel percorrere solo poche centinaia di metri. Eppure per i lavoratori milanesi sfidare ogni mattina i mezzi pubblici - che siano essi metropolitane, tram, pullman, treni o filobus - è un fatto del tutto normale ma, a differenza di quanto si possa pensare, nessuno di loro guarda l' orologio, tanta è l' abitudine di dover affidare quotidianamente questi intervalli di tempo alla città.



Un po' perchè già mi sono rotta il naso una volta in bici grazie al fantastico pavé che regna sovrano per le vie del centro e un po' perchè ora mi sono trasferita un po' più in periferia, anche io mi adatto e trascorro ogni mattina un' oretta tra treno e filobus.




Ci sono giorni - e questo è uno di quelli - in cui durante il tragitto non riesci a tirare fuori l' mp3, un libro, il cellulare. Ci sono giorni in cui l' unica cosa che ti va di fare è osservare. Buttare un po' lo sguardo all' esterno e sentire la voglia di aggrapparsi a quel filo che segue i binari e chissà fin dove arriva, vedere come la campagna sia stata intrappolata dal cemento. Oppure guardare gli occhi di chi è seduto di fronte a te. E chiedersi se anche lui è infelice come te o se il solo fatto di essere su un filobus schiacciato da borse, gambe, voci, strilli, non implichi per forza un triste destino.




In giorni come questi arrivare in ufficio e leggere l' e-mail di un amico ti mette in crisi, se non sai dove andare. E allora pensi che forse la gente ha solo voglia di farsi trascinare fino al mare come una foglia sull' acqua, di farsi sorprendere dagli eventi della vita senza far fatica, senza sforzo; ma magari nel cuore avrebbe voglia di essere un salmone. Un salmone che lotta per arrivare alla meta, che non si accontenta di essere cullato dalle onde, ma deve, vuole contrastare la corrente. E rischiare.


Unirmi alla massa delle foglie che si fanno portare al traguardo, seguire quel filo sulla mia testa senza capire dove va non fa per me. Io sono decisamente un salmone, voglio afferrare quel filo e arrivare al mare con le mie forze. Anche se so che il mio destino è in qualche modo segnato. Ma non è detto.


Forse un salmone lo è anche l' uomo dagli occhi malinconici che mi è seduto di fronte ... e magari è solo un salmone triste come me.
Dai, amico, che stiamo arrivando.
foto scattata dall interno del treno di ritorno a casa, ore 18,40 circa.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

:)
non posso aggiungere altro, ma solo dire che questo post è pura poesia.

beba ha detto...

.... bellissimo... confermo