domenica 17 gennaio 2010

al chiar di luna - pesantezze tra le luci dello showroom e la nebbia di Milano

sì, lo so, è giorno, non c' è la luna.
e io sono in showroom: un' altra campagna vendite, un' altra presentazione alla stampa, un' altra sfilata, un' altra sfilza di persone pretenziose da accontentare.
quanto mi è diventato stretto questo mondo di stracci? quanto poco mi interessa porgere un capo parlando della mano pregiatissima del tessuto di cui è fatto? stare attenta all' etichetta, a come mi porgo, parlo, muovo, siedo?
domande retoriche ovviamente.
veramente anche prima non me ne poteva fregare di meno. però ero una ragazzina abbagliata dalla leggerezza di questo mondo, che arrossiva ad uno sguardo. e che amava fermarsi a sistemare la collezione fino a mezzanotte e, come se fosse mezzogiorno, girava a piedi nudi per lo showroom mentre gli stilisti mettevano Barry White e ballavano.
ora invece, chiusa in questa gabbia dorata, alla donna che sono oggi, sembra di stare al chiar di luna. troppe preoccupazioni. troppi pensieri per poter stare sulla superficie di questa tavola imbandita di leggerezza. troppi affetti a casa. troppa volgia di stare con Francesco oggi che è domenica. troppe immagini di sofferenza estrema che da un oaio di settimane albergano nella mia mente.
troppe menate per riuscire a vedere che fuori è giorno. oggi ho l' impressione di uscire e vedere la luna.
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Milano questa mattina sembrava più bella del solito. L' ultima volta che ci sono venuta, settimana scorsa, ero reduce dall' India e in preda all' influenza vomitina, e l' ho attraversata per presenziare alla presentazione stagionale della mitica collezione.
vabbè, dire che ero presente è una parola grossa. sono arrivata come un automa e in preda ai conati mi sono trascinata fino ad una sedia. da qui ho fatto violenza su me stessa per scrivere tutto quello che si stava dicendo perchè penso di non aver capito il senso di una sola parola da quanto mi sforzavo di non vomitare in faccia al direttore commerciale.
ah, la moda. ah, Milano.
la città in cui sono nata. e che un po' ho rinnegato.
ma l' ho fatto per lasciar spazio alla campagna, che già premeva nel mio cuore per allargarsi dentro di me.
il Moschettiere, poi, con un colpo di spada ci ha messo un secondo per portarmi nel suo mondo. di prati, boschi, fiori. di un cielo che a Milano te lo scordi. perchè è pieno di stelle.
e poi la luna. quella luna che solo pochi giorni fa guardavo dal cortile di un haveli ai confirni del Rajastan.
ci mancava anche l' India. che già pensavo poco io.
Mamma quanto sono pesante oggi ... ( ci sono i clienti oggi che fanno a gara per lavorare con me, da quanto ho la faccia simpatica e accogliente ).
Al chiar di luna
Calma, calma questo cuore agitato
tu, notte tranquilla di luna piena.
Troppe gravi preoccupazioni,
più e più volte gravano sul mio cuore.
Versa tenere lacrime
sopra brucianti pene.
Con i tuoi raggi argentati,
portatori di sogno e di magia,
morbidi come petali di loto,
o notte, vieni, accarezza
tutto il mio essere
a fammi dimenticare
tutte le mie pene.
Rabindranath Tagore
p.s. nella foto cartello fotografato per le strade di Nuova Delhi

sabato 9 gennaio 2010

India

A Natale abbiamo riempito la casa di bianco e beige. Rose, candele, passamanerie antiche, nastri, stelle.
Poi abbiamo aperto i regali: il Moschettiere ha ricevuto da me un vecchio mobile verde acqua trovato da un venditore di meravigliosi oggetti d' altri tempi, un selzer vintage ( ehm ... strane collezioni ) e un buono da spendere al Brico, uno dei suoi posti preferiti.
Io, da parte sua, ho ricevuto l' India.
Vedere questo paese ( Jaipur in particolare, la citta' rosa ) era uno dei miei sogni, ma ho sempre rimandato questo viaggio pensando di non essere pronta ad affrontarlo, pensando di dover essere piu' matura e consapevole; pensando che per carattere non avrei mai potuto affrontarla. Invece l' ho fatto, con dolore e stupore. Da madre, poi, mi faceva ancora piu' paura, perche' sapevo che avrei visto la sofferenza di molti bambini.
Dopo aver rischiato di morire per qualche pallottola vagante in Brasile e aver pregato che tutti i semafori sudafricani non diventassero rossi costringendomi a fermarmi e rischiando di essere derubata, pensavo che la poverta' fosse uguale in tutto il mondo. Pensavo che la poverta' riducesse qualsiasi essere umano nello stesso modo.
Invece mi sbagliavo. Il Moschettiere, che conosce bene l' India e che me l' ha "regalata", mi ha sempre detto che secondo lui gli indiani non hanno dignita', purtroppo.
Secondo me non e' vero, perche' morire di fame e non rubare nemmeno un' arancia o una mela dal carretto che le vende accanto a te e' dignita'.
Si', questa e' dignita'. Non puntare un coltello al collo di un turista per 10 dollari come succede in altre parti del mondo. Non spaccare il vetro di una macchina ferma al semaforo per rubare una borsa. Non minacciare, guardare male, pedinare.
No. Gli indiani ti guardano con gli occhi che piangono e vorrebbero tanto, tutti, che tu dessi loro qualche cosa. Ma non guardano la tua borsa. Ti guardano in faccia. E magari ti invidiano. Magari. Forse perche' tu hai i vestiti. Perche' tu non vivi su un marciapiede e non lavi tuo figlio con l' acqua della fogna in mezzo alla strada. Perche' tu non condividi con i topi, i cani, le capre, le mucche - sacre - quel poco che hai.
Nonostante tu abbia tutto e loro niente, non cercano di prendere quello che loro non hanno.
L' India e' indescrivibile. E' magica e tragica allo stesso tempo.
E una volta che l' hai vista, niente puo' essere piu' come prima.
Io e il moschettiere abbiamo salutato il nuovo anno da un giardino incantato di un castello antico del Rajastan, a Mandawa. Incontrato carovane di dromedari e carri che trasportavano quintali di miglio. Guardato con occhi spalancati i palazzi di Jaipur e contrattato per antichi gioielli d' argento. Ci siamo baciati sotto il Taj Mahal, meraviglioso monumento, omaggio d' amore. Girato velocissimi su un riscio' tra i vicoli della vecchia Delhi. Evitato di investire le migliaia di mucche che beatamente sostano ai semafori. Ammirato palazzi antichi - haveli - e fortezze raggiunte sul dorso di un elefante decorato. Passeggiato per i coloratissimi templi del Sud e immaginato l' India coloniale degli inglesi sulla costa vicino all' antica Madras, dove abbiamo acquistato delle stoffe meravigliosamente ricamate, accanto alle future spose indiane che compravano i sari per il matrimonio. Guardato dalla macchina centinaia di casette fatte con le torte di cacca di mucca, usata per cucinare. Ammirato dipinti antichi di fiori e sculture scavate nella roccia vicino all' oceano. Lanciato i fiori di ibiscus al tempio dedicato a Kali, a Calcutta, tra fedeli piangenti, supplicanti, urlanti, in un tumulto di voci, urla, preghiere, suoni, colori. Acquistato stickers e immagini di questi Dei sempre cosi' sorridenti, rotondi, colorati. Osservato il puja, il rito della purificazione, sul fiume sacro Hoogly, dove gli abitanti di questa citta' si recano tutte le mattine per lavarsi e rendere omaggio agli Dei.
E camminato sperando che tutto quello che quella gente, quei bambini stavano vivendo non fosse vero. Che nulla ci fosse, che la poverta' non esistesse. Nemmeno i palazzi, gli elefanti, le mucche, il miglio, le banane, i templi, il fiume, i marciapiedi delle citta'.
Che nulla ci fosse, perche' così quella poverta' non esisterebbe.
L' India:



sabato 19 dicembre 2009

neve, ricordi. ti ricordi? oh, si' ...

Per la maggior parte dei milanesi neve significa solo problemi. E anche ora che sono diventata una campagnola, ancora il pensiero di una nevicata mi preoccupa.

Soprattutto perche' la mia caviglia non e' ancora guarita e il dottore, al controllo di giovedi', mi ha sgridato perche' mi sono presentata senza stampelle e mi ha ordinato di continuare ad usarle finche' non comincero' la fisioterapia, cioe' fino a Gennaio, almeno ( e pensare che io credevo di essere stata bravissima andando alla visita con le scarpe da tennis ... ).
Da ieri sera, comunque, la neve non e' piu' solo un pensiero, bensi' realta'.
Quando Francesco mi ha chiamata e mi ha detto: " Mamma, guarda! Un' infugine di neve!!!".
Sorvolando - almeno per il momento - sul significato di infugine di neve, io stessa ho sgranato gli occhi vedendo quello spettacolo e non ho potuto negargli un giretto fuori, da cui e' tornato letteralmente inzuppato.
Si e' comunque fatto perdonare aiutandomi ad appendere guanti, sciarpa e cappello al filo della stufa.
Come cambiano le cose.
In effetti, l' ultimo ricordo della neve e' stato un bianco centro di Milano raggiunto un giorno dello scorso inverno dopo esattamente due ore di macchina e duemila parolacce.
Quindi, quest' anno mi sembra cosi' magico vedere la neve coprire campi e colline e ricevere baci da un Moschettiere che torna a casa tutto infreddolito e prepara il letto caldo.
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Se non fosse che Francesco ha rischiato una congestione perche' ha voluto a tutti i costi ( e a tante lacrime ) uscire a fare un pupazzo di neve subito dopo aver bevuto il suo lattuccio del mattino, che alterna alla pasta in bianco ( io, nel titolo del blog l' ho scritto che siamo una strana famiglia ... ).
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E' rientrato in casa e ha vomitato per un quarto d' ora sul pavimento della sala da pranzo mentre io lo guardavo con una stampella e un pezzo di scottex.

Comunque.
Comunque mi e' venuto in mente che qualche anno fa - esattamente 4 - io aspettavo Francesco e aveva nevicato. Ho le foto in cui davanti alla finestra imbiancata mostravo una pancina che appena si vedeva, ma che per me era enorme.
E Beteleyem e Syntayeu arrivavano da lontano per vedere la neve.
E noi ragazze le aspettavamo guardando una foto e piangendo sedute al tavolo di una trattoria sui navigli..
Questa e' la loro storia. Anzi, e' la storia di una meravigliosa famiglia:
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C’ erano una volta due bimbe con tante treccine sulla testa dai nomi beteleyem e sintayeu.
Vivevano in un posto dove non faceva mai tanto caldo o tanto freddo, dove incontravano gente che parlava mille lingue diverse, dove si sentiva profumo di cannella, zafferano, peperoncino e vaniglia, dove gli uccelli volavano liberi sugli altipiani, dove le fortezze antiche sorgevano in mezzo al nulla e dove le donne erano di una bellezza esaltante, fatta occhi profondi e neri come voragini, di copricapi rossi e azzurri, ciondoli preziosi e bracciali infiniti.

Un giorno le due bimbe incontrarono un uomo e una donna venuti da tanto lontano e tanto diversi da tutte le persone che conoscevano. Avevano capelli biondi come l’ oro dei loro bracciali e occhi azzurri come la tintura che le anziane usavano per i cesti e i copricapi, parlavano una lingua sconosciuta e indossavano abiti dai colori tenui.

Questi due signori raccontarono alle bimbe che in pochi giorni le avrebbero portate con loro in un posto lontano, viaggiando su un grandissimo uccello grigio che andava veloce veloce.
E infatti così fu.

Il luogo in cui arrivarono non aveva un clima dove non faceva mai tanto caldo o tanto freddo, un popolo che parlava molte lingue, il profumo di cannella, zafferano, peperoncino e vaniglia, uccelli che volevano liberi sugli altipiani, fortezze antiche che sorgevano in mezzo al nulla o donne di una bellezza esaltante, fatta di occhi neri come voragini, di copricapo rossi e azzurri, ciondoli preziosi e bracciali infiniti… ma sentivano tanto caldo dentro la loro casa e tanto freddo toccando la neve fuori, ascoltavano suoni e sillabe già familiari, odoravano profumo di pane, rosmarino, agrumi e fragole, guardavano le rondini fare il nido sul loro tetto, vedevano castelli lontani sulle colline e tutte le mattine e tutte le sere osservavano affascinate quella donna bionda dagli occhi trasparenti che era la più bella che avessero mai visto e che chiamavano mamma.

Non dimenticarono mai le loro origini, ma vissero per sempre serene e felici, circondate da un affetto incontenibile e crescendo, conoscendo, moltiplicandosi, portarono avanti quella stirpe multietnica che, da quel momento, era ancora più ricca.

A Lorena e Alessandro, che hanno già raggiunto molte cime…… e che in 4 ne raggiungeranno tante altre………
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Stefano mi ha finalmente mandato le foto di questa bella giornata. Anzi, e' da un po' che l' ha fatto. Devo pubblicarle perche' sono dei bei ricordi.
E perche' la Bety e la Synta devono far vedere a tutti quanto sono belle.

domenica 6 dicembre 2009

io e il Moschettiere

Il Moschettiere è un ruvido gentiluomo.
E' un mix di selvaggio e galanteria.
E' uno che propone di andare a bere una bottiglia di champagne seduti sulla collina a guardare le vigne al tramonto - e io già mi sono messa gli stivali di gomma e la camicetta di seta e sono pronta per andare.
E' uno che potrebbe fare l' orto in smoking - e io lo seguo col vestito in chiffon.
E' uno che quando litiga corre fuori a piedi nudi e urla nel prato - e io lo guardo appoggiata allo stipite della porta un po' ridendo un po' piangendo.
E' uno che poi torna dentro e mi ama come nessuno mai.
E' uno che quando arriva a prendermi, si precipita giu' dalla macchina per aprirmi la portiera ma poi non dice cose sdolcinate - e io lo guardo con la coda dell' occhio e comincio a parlare parlare parlare.

E' uno che adora andare all' Ikea a comprare le decorazioni dell' albero di Natale, e stare li' per ore, seriamente interessato ad ogni piccolo oggetto - e io lo guardo perchè sembra un bambino.
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E' uno che per il compleanno mi regala un viaggio a New York ma, se mi rompo la caviglia e non posso partire, allora mi porta in montagna in braccio nella neve. Ed esce presto presto a prendere le brioches - e io fuori guardo l' alba.
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Stasera torna anche Francesco. Gli porto le decorazioni per l' albero. Noi due abbiamo una tradizione da rispettare.
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Nel frattempo il Moschettiere ha fatto una pausa dalla lettura del suo quotidiano e si è preparato una tazza di karkadé. Non capisco se la faccia schifata che ha è per il karkadè o se non ha più voglia di stare in posa perchè io possa creare questo suo ritratto.
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Ok, vado a zampettare nella neve ( come dice il Moschettiere ).

mercoledì 2 dicembre 2009

Quanto 'so PERFETTA con la caviglia rotta

"Prima di giudicare assicurati di essere perfetto e, dopo aver appurato di non esserlo, abbi la capacità di perdonare i giudizi di coloro che credono di esserlo."
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Non so chi ha scritto 'sta cosa, comunque mi piace. O meglio, mi piace solo la prima parte. Perche' dovrei perdonare i giudizi di coloro che si credono perfetti?
Ecco. Chi ha orecchie per intendere intenda.
Sara' la caviglia rotta, i legamenti andati ... ma mi sono un po' inviperita. Mi sa che devo chiamare la casa farmaceutica che produce il Brufen ... credo che tra gli effetti collaterali, oltre secchezza delle fauci, cagotto, gastrite, ulcera fulminante, morte, devono scriverci anche che fa incazzare di piu' ( ora che ci penso: magari anche a lei e' stata fatta la macumba, si e' rotta una caviglia nel frattempo ed e' costretta a ingurgitare bustine e bustine di Brufen ).
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Sono un po' una iena in questi giorni. Ma sentirmi dare della mantenuta dopo che per mantenere mio figlio mi sono lavata per un inverno con l' acqua fredda perche' non avevo abbastanza soldi mi fa un po' prendere male.
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Vabbe'. Perdonatemi questo sfogo di cui non frega niente - ma niente - a nessuno. Ma ho la caviglia rotta. E trangugio Brufen come se fosse acqua. Che bello, ma che bello usare questa scusa della caviglia per qualsiasi cosa ... non solo farsi portare il the, farsi fare il bucato, farsi stirare le cose ... tutte cose da casalinga frustrata, ovviamente.
No, perche' con questa caxxo di caviglia rotta quel poco di vita sociale che avevo se n'e' andata definitivamente. E badate: per vita sociale intendevo portare Francesco in piscina due pomeriggi a settimana. No, scherzo, dai.
Per un attimo, con questa gamba sifula mi ero dimenticata di essere sempre la Carrie Bradshaw de' noaltri.
Tacchi 12 sto arrivando!!! Beh, li ho su anche adesso, eh? ... in fondo il piede sinistro non si e' fatto niente. E poi il Moschettiere adora i miei tacchi.