mercoledì 25 luglio 2012

Passionalità

Sono una passionale. Ho ereditato da mia madre la poca diplomazia e il poco auto-controllo. 
Un po' sono cambiata, negli ultimi anni. L' impulsività rimane uno dei lati predominanti del mio carattere, ma succede anche che rifletta - magari anche un secondo dopo essere esplosa - e che sappia cambiare strada. O strategia (anche se non amo la parola "strategia", mi ricorda un gioco sporco).
E se a volte fatico a riconoscere la donna furiosa, irruente, che mi si presenta davanti e me ne vergogno, altre volte mi piaccio, in questa mia passionalità.

Due secondi fa ero al telefono con il Moschettiere e, visto che mi ha chiamata proprio mentre mi veniva l' ispirazione per questo post, gli ho chiesto se la parola "passionalità" esisteva davvero (a volte sì, faccio questo tipo di domande). 
Forse lui non si ricorda quando, un giorno estivo di tre anni fa, gli ho chiesto quale aggettivo avrebbe usato per descrivermi. Beh, lui ha risposto "appassionata". E io mi sono buttata dentro questa definizione con un tuffo di testa.

Il fatto è che anche lui è un passionale. Se ci fossimo conosciuti in un' altra epoca, secondo me saremmo stati una coppia di artisti stravaganti e squattrinati in giro per il mondo. Tipo due teatranti pieni di voglia di fare, creare, stupire. Passionali mangiatori di vita e di arte.
Ci vogliamo bene. Siamo un po' strani ma ci vogliamo bene.

In questi giorni in cui mia madre dorme da noi per aiutarci con Francesco, la vita non è sempre facile. Tre passionali in una sola casa.
Francesco, che dei quattro è quello più prudente - sia con le parole, sia con le azioni (ma, giuro, è mio figlio, anche se non si butta nelle cose, non mangia Nutella e non beve Coca Cola), osserva tutti dal suo posto a capotavola e poi, prima di dormire, mi fa domande strane sulla mia vita precedente alla sua nascita, su quello che mi piaceva e mi piace.
Mi chiede di elencargli i paesi che ho visitato. Si interessa all' India ma qualcosa mi dice che alcune foto scattate lì lo hanno un po' scioccato. Parla spesso di Istanbul. Gli è entrata dentro.

E poi riceve in regalo dalla sua fidanzata delle strane carte del supermercato con le immagini di ragazzini che si spacciano per cantanti, oltre ad una serie infinita di quegli orrendi bracciali di gomma dalle forme strane.
E' molto timido in pubblico. Questo lo ha preso da me. E non fa una cosa se non è sicuro di farla bene. Questo NON l' ha preso da me.
E' difficile infondergli sicurezza, in questo periodo fitto fitto di novità.
Ha deciso che da grande non farà più il supereroe o il calciatore, ma lo studioso. (!)
Il calcio, dice, continuerà ad essere una sua passione.
A me, per ora, basta che abbia capito che lui è libero e amato.
Libero e amato. Con tantissima passionalità, come ci amiamo tutti in questa famiglia.


giovedì 19 luglio 2012

Ieri sera. E stanotte.

Ieri sera, dopo doccia e cena, ero tutta profumata e spalmata sul divano con Francesco. Giocavamo a "trova le differenze" speluccando due vignette in cui Winnie de Pooh e Tigro saltellavano felici.
Questo fino a quando il Moschettiere, al rientro dal suo "giro animali", mi chiedeva di aiutarlo a mettere Geranio in macchina e a portarlo dal veterinario. Secondo lui non avrebbe superato la notte.

Mi sono cambiata, ho legato i capelli profumati di shampoo, ho affidato Francesco alla nonna e accompagnato il Moschettiere da un nuovo veterinario che ci è stato segnalato come esperto di ovini e caprini.
Belloccio, il tipo - anche se un po' bassino. Peccato che l' ambulatorio fosse sporco da dare la nausea e che lui puzzasse più di Geranio (a detta del Moschettiere, che gli si è avvicinato più di me).
Mentre loro due incaprettavano l' agnello, lo anestetizzavano (il Moschettiere ha dato 42 esami di veterinaria, ma questa è un' altra storia) e gli tagliavano ulteriormente la gola per capire i danni che i denti di Tosca avevano fatto all' interno, io sentivo di essere sul punto di svenire. Non so se perché a 50 cm da me c' era il collo squartato di una pecora (con tanto di vene, legamenti, nervi belli in vista) o se per l' insieme di sporco, puzza, sangue.
Purtroppo non è servito a nulla sedermi su una sedia. Ho davvero temuto di cadere spiaccicata su quel pavimento pieno di peli (di cui alcuni sporchi di sangue), insetti e terra. Così ho chiesto aiuto e una signora - credo parente del veterinario - mi ha portato fino al bagno, in un percorso che comprendeva il passaggio accanto ad un barbeque dove stavano cuocendo le salamelle e ad una serie di stalle o non so cosa che emanavano un odore insopportabile (soprattutto se si sta procedendo senza vedere nulla  e con terribili conati di vomito per la pressione bassa).
Alla fine me la sono cavata. Ho cominciato a sentirmi meglio.
Seduta sui gradini di quella casa, con le gambe ancora tremanti per lo sbalzo di pressione, ho pensato di essere una donna davvero molto singolare. Non tanto per aver lasciato con convinzione un appartamento di città climatizzato e completo di ogni comodità, ma per aver abbracciato con ancora più convinzione la vita di campagna e tutto quello che ne consegue (che non significa avere una casa in campagna in cui trascorrere i week-end, ma qualcosa di ben più profondo).

Al ritorno, in macchina, con Geranio che belava al Moschettiere, lui mi teneva la mano. A volte crede che certe cose siano scontate, altre volte so che si rende conto di tutto.
E poi stanotte. Stanotte è nato un bambino. Sono felice. Sono felice. Sono felice.
Non so quali cambiamenti ci saranno nell' immediato per tutti noi, ma so che mio figlio non sarà mai solo. Lo considero un grande, enorme regalo per lui, ma anche per me.
E in questi giorni in cui, ancora sopraffatta dai romanzi di Rebecca West, mi scopro a pensare alle cose con parole obsolete ed eleganti, rido tra me e me e sogno le frasi giuste per accogliere questo bambino che, insieme a suo fratello, è il giocatore più importante della nostra grande squadra.

giovedì 12 luglio 2012

It' s all about the dress (Cit)

Io dico sempre: "Non è l' abito che fa il monaco, ma il monaco che fa l' abito".
Siamo noi che decidiamo come porci rispetto a noi stesse, al nostro specchio, alle altre persone.
Siamo noi che comunichiamo: "sono stanca" oppure "mi sento bene" o ancora "sto malissimo, ma questo vestito mi aiuterà a non stare peggio facendomi sentire bella".
Se è vero che la personalità ha mille sfaccettature ma è una sola, è altrettanto vero che lo stile di una persona è di solito definito, ma costituito da tante piccole variabili che aiutano a comunicare ciò che sente/vuole/deve dire.
Io, per esempio, ho uno stile abbastanza minimal. Mi piacciono i capi basici, puliti. Non amo le scritte sulle magliette, i loghi sulle borse.
Se sono stanca e inquieta cambio look mille volte al giorno e finisco sempre per non piacermi.
Quando invece sono proprio io e mi sento appagata delle cose che ho, mi vesto in un attimo e quando mi guardo allo specchio vedo i vestiti che ho scelto come se fossero una seconda pelle, qualcosa di veramente mio, che mi definisce, che mi permette di comunicare meglio.
Posso uscire in miniabito e sandali piatti, come con una gonna a tubino e un paio di tacchi o ancora con un paio di jeans e un top di pizzo. Sono io (sono io, dentro) il monaco che decide quale abito mettere e cosa comunicare.
Perché l' abito non fa il monaco? Perché se indosso un paio di scarpe da tennis non è detto che sia una sportiva. O perché se porto un abito succinto non è detto che voglia sedurre. Semplicemente, mi fa stare bene. Vogli oessere così, in quel momento.

Non sono completamente d' accordo con alcuni passaggi del libro "It' s all about the dress", di Vicky Tiel (lei è la creatrice del meraviglioso abito rosso che Julia Roberts indossa per andare all' opera con Richard Gere in "Pretty Woman") perché credo che un abito non sia solo uno strumento di seduzione fine a se stessa.
Non mi piace l' idea di usare un abito per sedurre. Mi piace l' idea di usare un abito per sentirsi bene. Da lì alla seduzione c' è solo un piccolo passo.
Non so se avete mai visto una donna entrare in un locale con l' idea di attirare gli sguardi degli uomini chiaramente stampata sulla sua faccia. Ecco, magari insieme a quell' idea, anche il non sentirsi propriamente a suo agio negli abiti che porta è chiaramente stampato sulla sua faccia. Forse riuscirà a sedurre. Ma non sarà lei ad averlo fatto, bensì il suo vestito. O i suoi tacchi tirati fuori dall' ultimo scaffale della scarpiera solo con quell' intento.
No, se una donna vuole sedurre deve affidarsi a se stessa e vestire la sua pelle con le cose che sente davvero sue, che siano un paio di sneakers o un paio di tacchi 12 (spesso io incito ad usarli ma, attenzione, io parlo della volontà di sconfiggere la pigrizia di indossarli anche quando se ne avrebbe voglia - questa è tutta un' altra storia).

Esattamente come siamo pronte a piangere, ridere, amare, odiare, così anche il nostro armadio è un insieme di emozioni/sentimenti/reazioni trasformati in materia colorata e pronti per diventare la nostra seconda pelle.
Un attimo prima siamo monache e quello subito dopo siamo delle poco di buono. E allora? Siamo belle per questo, noi donne. Perché abbiamo ereditato un unico corredo cromosomico, ma sappiamo diventare chi vogliamo con quello cromatico - e non solo - che possiamo scegliere ogni giorno. 

martedì 10 luglio 2012

Paola e le Stylish Classes, I Classici. Numero 10, i bermuda e gli shorts.

Molto facile portare un paio di shorts o di bermuda al mare, per andare in spiaggia, con dei sandali in cuoio e una t-shirt, magari annodata in vita, alla francese.
Ma...si possono portare anche in città? La risposta è: "mmmhhh" = "molto difficile farlo con stile".
Diciamo per prima cosa che gli shorts in città sono vietatissimi dopo i 18 anni (e se fosse per me, dopo i 12). Se proprio si desidera trovare un' alternativa alla gonna o al vestito, si può osare con un paio di bermuda (quindi poche dita sopra al ginocchio) - NON di jeans - abbinati a capi ed accessori mirati in modo che diventino più cittadini e meno sportivi (scrivendo "città" non mi riferisco ad un pomeriggio domenicale di svago al parco - dove un paio di pantaloncini e una t-shirt sono l' abbigliamento ideale - ma ad un giorno di routine, tra ufficio, scuola, ecc).
Ecco qualche esempio:

Yellow bermuda


Stylish shorts

light blue bermuda -chic!!!

Scusate, ma io trovo chiccosissimi i bermuda larghi al ginocchio portati con i sandali a listelli e tacco largo: sono l' immagine anni '80 di mia madre, quando passeggiavamo sul lago. E mi immagino anche una ragazza newyorkese che cammina sulla riva dell' Hudson, vestita così: semplice, elegante, diversa dalle tendenze di oggi, che vedono solo shorts di jeans e t-shirts piene di scritte.

Per il mare, invece, dove si può spaziare con bermuda e shorts, io suggerirei di aggiungere al tanto amato denim, anche altri tessuti e/o colori. A me piacciono questi di denim a fiori (e mi piacciono anche i jeans lunghi, così):

Flower shorts


(potete nascondere una pochette nella borsa della spiaggia. E' utile nel caso in cui, al ritorno, voleste andare a prendere un aperitivo o passeggiare sul lungomare)

E per la sera? Beh, a meno che non troviate un paio di bermuda di Vionnet come quelli del look qui di seguito (in cui si fa fatica a distinguerli da una gonna al ginocchio), lasciate perdere. Rimanete sui classici pantaloni o gonna o abito ;)

Bermuda by night???


A presto, con nuovi classici (sempre e solo secondo il mio punto di vista - che medita di prendersi una pausa, per l' estate, ma ancora non lo sa)

lunedì 9 luglio 2012

Abbiamo compiuto sei anni. E abbiamo fatto una grande festa.

Sabato abbiamo compiuto sei anni e abbiamo organizzato una grande festa portando inviti a forma di ghiacciolo. 
Il Moschettiere ha preparato un gelato in quattro gusti che gli è valso l' applauso dei 50 ospiti presenti (tra bambini e adulti), ma anche un tiramisù nel quale abbiamo fatto sprofondare le candeline da soffiare.
Io ho appeso ghiarlande e apparecchiato la tavola con i colori dell' arcobaleno e mazzi di margherite, Achillea millefolium e ortensie Annabelle.
E' sempre così, lui pensa al lato pratico, io a quello estetico.

Beh, c' erano proprio tutti (anche chi abita ancora nella pancia della sua mamma).
E tutti erano felici (e tanto stanchi da piangere accovacciati sul divano in veranda, quando è finita la festa).







martedì 3 luglio 2012

Paola e le stylish Classes, I Classici. Numero 9, Il cardigan

Se c' è una cosa che non mi piace è il look  "principessa Kate" = giacca OVUNQUE.
I blazer sono capi che non possono mancare in un guardaroba ma non bisogna inserirli in qualsiasi outfit in cui serve un "sopra", cioé qualcosa che copra le spalle o ripari dal freddo.
La giacca abbinata ad un vestito, per esempio, può essere perfetta, ma lo rende automaticamente più serio, da ufficio o da cerimonia (diurna) e non può quindi essere l' unica alternativa.
Ce ne sono molte altre valide, soprattutto se non si ha l' esigenza di avere un look formale.
Io uso spesso i cardigan. In primavera e in estate sono il mio asso nella manica, da tirare fuori quando l' aria condizionata mi stronca sul treno o in ufficio o quando, la mattina presto, non si può ancora uscire senza avere qualcosa sulle spalle.
Amo molto quelli di cotone grosso, da usare anche come "giubbini", alla fine di una giornata trascorsa al mare o passeggiando di prima mattina in campagna. Quando poi le temperature si alzano, durante la mattinata, lo appoggio sulle spalle (atteggiandomi da ragazza degli anni '50)  o me lo lego in vita, facendo diventare il look un po' più scazzato.
Ne esistono di tutti i colori e di tutti i pesi. E, credetemi, sono un vero passe-par-tout. Usateli come e quando volete (stando attente ai colori, ovviamente!), ad eccezione di occasioni formali o in cui viene richiesto un dress-code particolare.
Affidatevi ai colori, alle lavorazioni e ai pesi per dare al look l' impronta che volete: un cardigan crochet per dare un tono bon-ton, colori pastello per renderlo più delicato, una maglia grossa - magari blu - per un outfit mariner o per sdrammatizzare una scarpa importante (ma  non un sandalo gioiello, ci sarebbe troppo contrasto), e così via...
Usate i cardigan soprattutto con i vestiti, specialmente se leggeri: la maglia è meno consistente di un tessuto da giacca, quindi è un accostamento più delicato.




Ecco qualche esempio:

a pastel pink cardigan


a light cardigan with a pair of yellow shoes


Nel secondo caso, il beige chiaro serve a smorzare il colore forte delle scarpe e a fare da tramite tra loro e il tono liquirizia dell' abito.
Nell' esempio qui di seguito, il cardigan sportivo di maglia grossa, con l' aiuto della t-shirt basica, serve a sdrammatizzare l' eleganza delle scarpe. In questo caso, è da portare aperto, lungo i fianchi, come se fosse un blazer (questo è un accostamento difficile, usare con cautela :D):

blue cardigan with fuchsia sling back shoes


In questo caso, invece, un semplicissimo cardigan senza bottoni a manica corta serve a coprire (in caso di necessità) tutta la pelle abbronzata che lascia scoperta il top senza spalline:


short sleeves white cardigan


E per finire, la sera. Per una serata elegante (ma non di gala), si può utilizzare anche un cardigan per coprirsi le spalle. Meglio se senza bottoni e di un tessuto leggero, perché non sembri un capo troppo da giorno.


black


Ora avete un' alternativa alla giacca. Sperimentate! (e continuate ad immaginare e immaginarvi)

A presto, con altri classici (sempre e solo secondo il mio punto di vista).